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Sull'anticorruzione il Pdl fa il gioco del Pd

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Fabrizio Cicchitto

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La furiosa reazione del Pdl alla Camera, con una quarantina di deputati astenutisi per protesta, contro il disegno di legge di lotta alla corruzione, che pure era stato promosso da Angelino Alfano quando era ministro della Giustizia, era esattamente quella che il Pd di Pier Luigi Bersani cercava. E che spera di replicare al Senato, per farne uso e abuso nella campagna elettorale per il rinnovo delle Camere. Essa fa il paio, in un curioso gioco di specchi, con il vantaggio che il Pd fornisce al Pdl, sempre nella prospettiva di una campagna elettorale per tanti versi già cominciata, opponendosi alla popolare proposta berlusconiana del presidenzialismo, o semipresidenzialismo alla francese. Sembra che sia ormai diventata questa, puramente tattica, la vera posta in gioco, più che l'esito concreto delle due riforme. Che rischiano entrambe di abortire, tanto stretti sono diventati i tempi della legislatura. Proibitivi, addirittura, per il presidenzialismo. Che, comportando modifiche alla Costituzione, avrebbe bisogno negli otto mesi residui del mandato delle Camere, di cui meno di quattro veramente utili, di passare due volte per entrambi i rami del Parlamento. E la seconda volta, visto il muro ormai alzato dal Pd, senza la maggioranza dei due terzi necessaria per evitare un altro passaggio ancora di verifica: quello del referendum cosiddetto confermativo. Se non proibitivi, non essendo in gioco stavolta una modifica della Costituzione, sono diventati incerti anche i tempi del disegno di legge ordinario di contrasto alla corruzione per le complicazioni politiche che ha innescato a causa di parecchie forzature. Che sono state volute dalla sinistra per cercare di trarne il massimo profitto, come dicevo, nella campagna elettorale. Non a caso il presidente della Camera Gianfranco Fini, che di procedure parlamentari funzionali agli obbiettivi politici delle varie parti, compresa la sua, ha finito per intendersi meglio di prima grazie ai quattro anni di esperienza vissuta al vertice di Montecitorio, si è precipitato a scommettere sul naufragio del provvedimento appena approvato dai deputati in un testo ben diverso da quello passato con Alfano al Senato. Dove pertanto le modifiche dovranno essere confermate, o più probabilmente potranno essere a loro volta cambiate e restituite all'esame dei deputati, disponendo la sinistra a Palazzo Madama di numeri minori che alla Camera. Certo, il governo potrebbe replicare al Senato il ricorso alla cosiddetta questione di fiducia per blindare il testo uscito da Montecitorio. Ma è un'ipotesi indebolita ieri dalla ministra della Giustizia in persona, Paola Severino, quando ha rivelato di non essere stata del tutto convinta, sul piano personale, della fiducia posta dal governo a Montecitorio per ben tre volte su questa legge rompicapo. Eppure lei stessa, Severino, non dimentichiamolo, aveva preannunciato la settima scorsa l'iniziativa con tono che sembrava convinto. Evidentemente, da avvocatessa e addetta quindi ai lavori, si è convinta lungo la strada dell'accresciuta opinabilità di alcune misure contenute nel provvedimento. Nelle quali, per esempio, tutti possono indistintamente vedere e denunciare, secondo i gusti e le convenienze politiche, tra concussione, induzione, influenze e varie, appigli utili agli avversari politici sottoposti a processo, o in procinto di entrarvi: da Silvio Berlusconi a Filippo Penati, per citarne soltanto due, diciamo i più famosi dei due opposti schieramenti in disarmo sui temi economici, ma non su quelli elettorali e giudiziari. Oltre che dalle opinioni o umori della guardasigilli, grava sull'ipotesi di una replica della fiducia al Senato il rischio che si producano complicazioni ritorsive, sempre a Palazzo Madama, sulla legge comunitaria che contiene una nuova disciplina della responsabilità civile dei magistrati. Che oggi è più simbolica che reale, a dispetto di quanto decisero i cittadini in un referendum del 1993, dopo i danni irreparabili subiti nelle procure e nei tribunali dal povero Enzo Tortora. Su questo problema è in corso una partita nella quale, come al solito, le toghe sono sul piede di guerra per difendere e imporre le loro peggiori abitudini, decise a non fare sconti neppure al governo tecnico. Che intanto rischia di aumentarne la discrezionalità, e fallibilità, con alcuni passaggi pasticciati proprio della nuova legge di contrasto alla corruzione. Sembra un po' la storia del cane che si mangia la coda.

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