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di Marlowe Il Financial Times torna a dedicare all'Italia la propria autorevole attenzione con un titolo che è il massimo dell'originalità: «Mamma mia, ci risiamo».

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Senzamancare di rispetto all'Istituzione, forse il FT dovrebbe mettersi d'accordo con se stesso: finora ha condotto una meritoria campagna contro il rigorismo miope di Angela Merkel, con editorialisti come Wolfgang Munchau, direttore dell'edizione tedesca, e Martin Wolf, il più implacabile critico della Germania. Ora il quotidiano letto e prediletto nella City riconosce che l'Italia «è di nuovo al centro della tempesta in parte per ragioni che vanno al di là del suo controllo». Grazie: la speculazione è tornata ad accanirsi contro di noi un minuto dopo che l'Europa ha deciso, con una rapidità mai vista, di salvare le banche spagnole. Verso le quali le consorelle inglesi vantano la terza esposizione (per 83,1 miliardi di dollari) dopo quelle tedesche e francesi e ben prima delle italiane. Alla fine il conto tradotto in euro è questo: il sistema finanziario britannico ha investito 67 miliardi sulla Spagna. Il sistema finanziario italiano è esposto per 21. Ma il salvataggio verrà a costare all'Italia, a seconda di quale strumento si usi (Fondo salva-stati o Fondo di stabilità) dai 18 ai 20 miliardi. E alla Gran Bretagna? Zero: non fa parte né del primo né del secondo meccanismo. Poi c'è l'effetto-contagio, lo spread. Se si salva la Spagna, hanno deciso i mercati, allora mettiamoci a speculare sull'Italia. E infatti eccoci di nuovo vicini ai 500 punti, o, per citare il Financial Times, «la crisi dell'eurozona sciabordare alla porta dell'Italia». Già, ma chi sciaborda? Gli stress test sugli istituti di credito iberici erano stati condotti, meno di un anno fa, dall'Eba, la European Banking Authority, nota per avere imposto alle banche dei paesi a rischio di non investire nei loro titoli di stato (e dunque chi dovrebbe farlo?). Questo organismo, peraltro presieduto da un italiano, aveva promosso a pieni voti le banche spagnole. Poco dopo un gruppo nutrito è andato in semi-default, spingendo la Banca di Spagna a fonderle in una nuova entità, la Bankia: un'idea che è parsa brillante all'Eba, peccato che mettere in padella tre pesci marci non vi darà una bella frittura fresca. Ma dove ha sede l'Eba? E come si formano i suoi funzionari? Risposte: a Londra; e, recita il suo sito ufficiale, lo scopo è conciliare con le istituzioni comunitarie «standard, linee-guida e best practices» della tradizione finanziaria britannica. Caspita, che successo. Ma a ben vedere, la nazionalizzazione di Bankia ha un ben più blasonato precedente nel salvataggio pubblico, a Londra, di RbS, Hbos, Lloyds Tsb e Barclays: il tutto costato al contribuente inglese 35 miliardi di sterline (50 miliardi di euro ai valori attuali), ed altri 500 di garanzie stanziati nel 2008 dall'allora governo laburista di Gordon Brown. Dov'erano allora le albioniche virtù? E da che parte guardavano poche settimane fa i sommi regolatori della City mentre dall'ufficio londinese di JpMorgan partivano gli ordini d'acquisto su Credit default swaps, derivati e altri titoli tossici per cinque miliardi di dollari? Un affaruccio alla Gordon Gekko sul quale è intervenuta l'Fbi (ma non Scotland Yard), mentre la Financial Services Authority, la Consob inglese dormiva. E dire che la Fsa aveva dovuto cospargersi il capo di cenere sempre nel 2008, per quello che rimane il maggiore scandalo bancario inglese del dopoguerra: la Northern Rock. Nota come «banca della Regina» per l'occhio di riguardo di Buckingham Palace, NR si era abbuffata di mutui subprime nel 2007, ancora prima di Lehman Brothers. La sua nazionalizzazione costò 50 miliardi sterline e indusse il capo della Fsa, Hector Sants, ad ammettere «una inaccettabile mancanza di supervisione». Per far vedere di che pasta era fatto, quando David Cameron conquistò il 10 di Downing Street incaricò una commissione indipendente per indagare sulle malefatte del sistema finanziario britannico: ne è venuto fuori un rapporto di 200 pagine firmato da Sir John Vickers, economista di Oxford. La Independent Commission of Banking, questo è il nome del nuovo organismo, ha proposto una radicale riforma della City, che il Cancelliere dello Scacchiere John Osborne ha detto di volere attuare in tempi strettissimi. Ma subito dopo i banchieri sono passati alla controffensiva, minacciando di spostare i quartier generali a New York e Hong Kong. Il segretario al Tesoro, Danny Alexander, un lib-dem, aveva provato a metterli in riga: «Basta con questa gente che ha giocato d'azzardo con la nostra economia!». Peccato che il suo capo Cameron lo abbia, per così dire, scaricato: «Non ammetterò un accanimento contro gli istituti di credito, che sono la nostra ricchezza». Chi pensate l'abbia spuntata? Che domanda: oh, my God!

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