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segue dalla prima pagina di Mario Sechi Quando il primo tempo finisce 0-0, "a reti inviolate", come dicono le cronache sportive, diciamoci la verità, tiriamo tutti un sospiro di sollievo.

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Eccoche improvvisamente quell'anziano presidente in tribuna e gli undici giovani in campo rappresentano un raro momento di unità, di quelli che senti tuoi ma ti vergogni a dirlo, perché ti sembra un episodio piccino, non pomposo, privo di retorica, talmente insignificante che dentro di te sembri una vocina che dice «come siamo ridotti». Eppure è nel dettaglio che si annidano i diavoli e gli angeli, e niente come lo sport riesce a catalizzare le coscienze e rimettere in moto l'anima. Quando Totò Di Natale ha gonfiato la rete, confesso, ho urlato come un ragazzino. Un riscatto. Un Paese bistrattato dalla finanza, preso in giro per colpa sua e di governanti privi degli attributi necessari per battere i pugni sul tavolo, sa ancora resistere alle furie rosse, metterle in difficoltà e giocarsi la partita. È la metafora della resistenza, e chiunque affermi snobisticamente che sono inezie non ha capito niente. La nostra partita finale si gioca ormai sui simboli: la parata del 2 Giugno dimezzata, le Frecce Tricolori che non volano, i corazzieri che vanno a piedi, l'esercito che non viene chiamato in Emilia se non dopo che lo vedono anche i ciechi che così non va, i partitanti che si vergognano del loro passato e del loro presente, il governo che ha in testa la Ragioneria ma ragiona ben poco sul futuro del Paese. La palla non è mai stata rotonda, ma alla fine ha una sua giustizia intrinseca, un suo destino senz'ombra. Il campionato europeo di calcio serve a misurare l'estro dei giocatori e il destino delle nazioni. Resta favorita la Germania, segue la Spagna e poi ci sarà spazio per una sorpresa. Saremo noi? Non lo so. Oggi in campo scendono Francia e Inghilterra, nobili quasi decadute. Grande blasone, storia che parla da sola, ma il futuro dov'è? Hollande è un personaggio in cerca d'autore, Cameron si comporta da leader di un'isola che è un continente. Nessuno ha la capacità di impedire alla Germania il dominio politico ed economico dell'Europa. Come vedete, gli scontri sul campo erboso riflettono esattamente le vicende degli Stati, le loro relazioni complesse, le incertezze e le speranze. La Francia voterà ancora tra una settimana, l'anno prossimo toccherà all'Italia. E in fondo le elezioni sono un po' come il calcio: buttare dentro la palla equivale a depositare la scheda nell'urna, vince chi ne mette di più. È la democrazia che nonostante tutto non si ferma, è il calcio che nonostante la corruzione, i trucchi, le combine, le bugie e le miserie quotidiane continua ad essere lo sport più bello del mondo. La tecnocrazia può prendere il potere, amministrare a lungo, fischiare calci di rigore, imporre nuove regole, ma alla fine se la curva è vuota e il popolo non va a votare qualcosa non torna. Ecco perché il presidente Napolitano ieri era in tribuna: è un uomo che viene da lontano, sa che alla fine la vita reale si impone perfino sulle transazioni virtuali, sulle cooptazioni reali e i calcoli irreali di chi pensa che la politica possa essere cancellata dall'orizzonte delle vicende quotidiane. Canterà un Grillo, la curva urlerà "gol", ma alla fine inseguendo la trama del pallone ci si accorgerà che per salvare le stesse nazioni serve l'Europa.

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