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di Marlowe I mercati tornano in profondo rosso, sarà un ennesimo weekend da brivido: ufficialmente per la delusione di chi attendeva nuove iniezioni di liquidità da parte della Fed americana e bella banca centrale inglese.

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Mase ci si fermasse a questo saremmo di fronte a semplici rinvii. Il vero incubo è la Spagna. Il declassamento a tripla B da parte di Fitch fa scendere Madrid di qualche gradino sotto l'Italia: la Spagna mantiene un solo rating A (A3 di Moody's), indispensabile per restare sul mercato dei capitali senza ricorrere al Fmi. O, com'è stato annunciato ufficiosamente, agli aiuti straordinari dell'Unione europea. Rispetto a questa situazione l'Italia può ancora vantare - si fa per dire - una A3 sempre da parte di Moody's e una A- di Ficht. Ma quanto durerà? L'influenza spagnola può davvero fare morti e feriti in giro per il mondo come nel 1918, ben oltre la febbre greca. I motivi sono evidenti. Il Pil della Spagna, 1.100 miliardi di euro, è sette volte la Grecia. Si tratta del dodicesimo prodotto lordo del mondo, economie emergenti comprese. L'esposizione bancaria della sola eurozona è oltre dieci volte quella verso la Grecia: le banche tedesche, nonostante la fuga di capitali, hanno ancora crediti per 146 miliardi di dollari, seguiti dalla Francia. E questo in un sistema finanziario nel quale sono a loro volta presenti alcune tra le maggiori banche del mondo, dal Santander a Banesto a BBVA. Il sistema industriale non è inesistente come quello greco: la Seat (proprietà Volkswagen), la Iberia (alleata con British Airways), l'industria energetica a lungo sinergica con la Francia, le autostrade a l'alta velocità ferroviaria sono strettamente interconnesse con il resto d'Europa. Nel settore militare e nell'elettronica per la difesa la Spagna è tuttora esportatrice verso le tigri asiatiche e latinoamericane. Infine la comunità spagnola, o che parla spagnolo, è la più numerosa del mondo ed è influente non solo in Sud America, ma soprattutto negli Stati Uniti. Tutte cose note, ma che spiegano perché stavolta i leader mondiali, a cominciare da Barack Obama, si stiano affollando al capezzale di Madrid, e soprattutto a quello di un'Europa preda di immobilismo, egoismo, totale assenza di strategia. In altri termini: se la Grecia poteva essere considerato un affare europeo, la Spagna è in questo momento un dossier mondiale. E né gli Usa né la Cina possono permettersi che venga gestito con le modalità messe in mostra da Angela Merkel quando si è trattato di (non) risolvere il problema greco. Anche perché l'affaire spagnolo smentisce una serie di dogmi di impronta germanica. Il primo: il male assoluto è il debito pubblico. Ebbene, Madrid era fino a non molto tempo fa perfino al di sotto di quel 60 per cento fissato addirittura dal trattato di Maastricht, un benchmark dal quale è distante anche la Germania. Ancora oggi il debito spagnolo è al 68 per cento del Pil, venti punti in meno di tedeschi e francesi, circa la metà dell'Italia. Altro dogma: i compiti a casa. A cominciare dalle riforme delle pensioni e del mercato del lavoro. Ma in Spagna si va in pensione a 65 anni, e tra poco a 67: come e più della Germania. Quanto al lavoro, il sistema spagnolo è tra i più flessibili dell'Occidente: si può essere mandati a casa con sei mesi di anticipo, non ci sono articolo 18 né contratto nazionale che tengano. Al contrario, la Spagna ha negli anni scorsi importato dalla Germania due vizi che l'hanno portata sull'orlo della bancarotta. Il primo: la forte autonomia concessa alle regioni, ad imitazione del federalismo tedesco. Era il fiore all'occhiello del governo socialista di Zapatero, si è trasformato in una fabbrica di debiti. Secondo vizio: la strettissima connessione tra banche e modello sbagliato di sviluppo, che ha fatto sì che il credito si indirizzasse verso l'edilizia speculativa. Addirittura con metodi simili a quelli dei mutui subprime americani, e quando questi ultimi erano già stati scoperti e condannati come male assoluto dall'Europa merkeliana. Ma, a differenza degli Usa, dove la bolla finanziaria serviva a finanziare l'ambizione di comprarsi una casa più grande e ricca, in Spagna si è puntato sugli alberghi, sulle seconde case, su catene alberghiere e di residence che hanno invaso non solo la Costa del Sol, ma che troviamo in mezzo mondo, dalla Croazia ai Caraibi. Erano per caso invisibili? Certo che no: e infatti è su quel business che hanno in gran parte puntato i colossi bancari tedeschi, francesi, inglesi, americani. Un'esposizione complessiva che nel 2008 ha toccato i mille miliardi di dollari, e che ancora oggi sfiora i 600. Esposizione che vede l'Italia solo minimamente coinvolta con 27 miliardi. Ciò che è venuto per primo allo scoperto è il problema di rifinanziamento di Bankia, nata dopo la fusione di alcune casse di risparmio: ma è la punta dell'iceberg. Solo per colmare i buchi delle banche la Spagna avrebbe bisogno dai 40 agli 80 miliardi, ma la Royal Bank of Scotland calcola che il conto sia molto peggiore: 180 miliardi, che il Tesoro non ha in cassa. Da qui l'Sos all'Europa.A questo punto il dilemma è lo stesso di sempre: che cosa farà Merkel? Quale sarà il mood degli ormai famosi contribuenti tedeschi? Difficilmente sulla Bild o sullo Spiegel potremo leggere inviti tipo quelli rivolti alla Grecia di vendere il Partenone: appunto perché le mani in pasta le hanno i banchieri di Francoforte. D'altra parte l'ultima copertina dell'Economist illustra a sufficienza come il rigorismo tedesco sia ormai vissuto dal resto del mondo: una nave affonda ormai sott'acqua); sulle murate il nome della compagnia: "The world economy". Dalla plancia parte una richiesta: "Possiamo ora avviare i motori, signora Merkel?". Ma attenzione: nella sua ultima intervista la Cancelliera parla per la prima volta - dopo averlo a lungo smentito - di una Europa "a due velocità". Contemporaneamente ha messo in chiaro che il molto atteso summit europeo di fine giugno "non risolverà tutti i problemi dell'euro". Insomma: la Germania si prepara al break-up della moneta fin qui unica. Con il conto magari a carico del resto d'Europa e del mondo.

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