Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

di Giuliano Cazzola* Ieri, a Milano davanti a centinaia di migliaia di fedeli accorsi da ogni parte del mondo, Benedetto XVI ha celebrato il Family day, a conclusione di un evento in cui – nonostante tutto – la Chiesa cattolica ha

default_image

  • a
  • a
  • a

Allepolitiche sociali in favore della famiglia (e della procreazione) tutte le forze politiche dedicano, a parole, una grande attenzione, magari dividendosi subito dopo, se si tratta di individuare quali siano i nuclei meritevoli di tutela: la famiglia naturale, unita da un vincolo matrimoniale; la coppia di fatto tra un uomo e una donna o anche le unioni tra persone del medesimo sesso, dal momento che, sul piano delle relazioni personali, in tanti rivendicano - ormai alla stregua di diritti - il riconoscimento di loro propensioni e stili di vita. Eppure il BelPaese destina alle famiglie e alla maternità risorse pubbliche pari a poco più dell'1% del Pil: un quindicesimo di quanto si spende per le pensioni. Negli anni Sessanta, sia pure in un contesto demografico profondamente diverso dall'attuale, era pressoché corrispondente a quella per le pensioni la spesa per assegni familiari: allora misura di carattere universale, fino alla riforma del 1988 che introdusse l'assegno al nucleo familiare – l'Anf - il principale, se non addirittura l'unico, strumento a tutela della famiglia, ragguagliato al reddito e al numero dei componenti. Se qualcuno domandasse perché mai oggi non si attuino delle robuste politiche, fiscali e sociali, a sostegno della famiglia, la risposta sarebbe sempre la stessa, da parte di qualunque Governo o ministro interpellati: non sono disponibili adeguate risorse a causa della crisi della finanza pubblica. L'affermazione è vera solo in parte, perché, all'interno della Gestione prestazioni temporanee dell'Inps (che eroga le prestazioni previdenziali cosiddette «minori» in quanto non pensionistiche), la voce «assegno al nucleo familiare» incassa dai datori di lavoro circa un miliardo in più di quanto spende, che viene riversato a coprire i «buchi» di talune gestioni pensionistiche. È questo, tuttavia, solo il punto terminale di una politica che ha consapevolmente sacrificato il sostegno alla famiglia per finanziare il sistema pensionistico. Lo ha ricordato (ma la cosa era nota, anche se ignorata a bella posta) un saggio della Conferenza episcopale italiana pubblicato da Laterza lo scorso anno. La riforma del sistema pensionistico, attuata dalla Legge Dini-Treu del 1995, stabilì una riallocazione dei contributi a favore del Fondo pensioni lavoratori dipendenti (Fpld) la cui aliquota contributiva, dal 1° gennaio 1996, passò di colpo dal 27,5% al 32,7%. Per non aumentare il costo del lavoro, la legge operò, ad oneri invariati, una ristrutturazione della contribuzione sociale: l'aliquota per l'Anf passò dal 6,2 al 2,48%, quella per la maternità dall'1,23 allo 0,66%, mentre quella ex Gescal (un tempo rivolta a finanziare l'edilizia popolare) dallo 0,35% a zero. In euro, a prezzi 1996, la diminuzione delle risorse disponibili fu di 4,6 miliardi per l'Anf, di 0,6 miliardi per la maternità, di 1,4 miliardi per asili ed edilizia sociale, per un totale di 6,6 miliardi. A prezzi 2008, le risorse disponibili, trasferite alla voce pensioni, corrispondono a 8,5 miliardi l'anno. Più chiaramente – scrive la Cei – dal 1996 al 2010 la riallocazione di risorse destinate alla famiglia, in senso lato, ha finanziato il sistema pensionistico per un ammontare che, a prezzi 2008, corrisponde ad un volume finanziario pari - fino al 2010 - a circa 120 miliardi di euro. Che altro dire di un modello sociale tanto distorto, dove i nonni e i padri hanno rubato e rubano ai figli e ai nipoti? Soltanto questo: pensione, quanti misfatti in tuo nome! *Deputato del Pdl

Dai blog