Europei di calcio: Italia-Spagna In campo le squadre dello spread
Lo sport è un ottimo terreno da gioco per la geopolitica e i campionati europei di calcio offrono spunti unici per comprendere lo scenario del Vecchio Continente. Settimane fa la partita politica era cominciata con le minacce di boicottaggio di alcuni Paesi nei confronti dell’Ucraina per la brutale detenzione di Yulia Timoshenko, la pasionaria della «rivoluzione arancione». Ma sui diritti umani ha prevalso la realpolitik del business del pallone. Tutti in campo. Si gioca nel bel mezzo della crisi dell’Eurozona, con la speculazione sul debito sovrano, la crisi delle banche, la messa in discussione della moneta unica, l’egemonia della Germania (guardacaso squadra favorita per l’Europeo), un Paese già fallito (la Grecia) e un altro paio in difficoltà. Tra quelli che non se la passano bene ci sono Italia e Spagna, cioè le squadre che oggi alle 18 si affronteranno nello stadio di Danzica. Secondo i canoni tedeschi, fanno parte dell’allegro Club Med: debiti pubblici alti, finanza disinvolta, corruzione, spesa galoppante, sistema industriale pieno di buchi. Insomma, carrozzoni. Così a Danzica finisce per andare in campo il dramma del derby dello spread. Il match tra gli azzurri e le furie rosse è la metafora dell’allegra gestione del bilancio dello Stato, della turbofinanza senza più benzina e del pallone indebitato fino al collo. Ieri l’Unione Europea ha deciso di dare alla Spagna circa cento miliardi di euro di aiuti per salvare un sistema bancario che sembra un groviera. E gli undici uomini in mutande che scendono in campo oggi sentono che in effetti, qualcosa non va. Leggete cosa dice il capitano della Spagna, il portiere Casillas: «Questo è solo un europeo di calcio, non possiamo caricarci sulle spalle tutti i problemi di un Paese dove c’è una crisi brutale». Grande portiere, mediocre conoscitore dei problemi del suo mondo, quello del calcio. Perché un pezzo del problema della Spagna è proprio il fùtbol (scritto e pronunciato alla Helenio Herrera), la sfrenata corsa dei club a indebitarsi con le banche e con il Fisco per pagare campioni come Casillas. La bolla finanziaria del calcio è un tassello del mosaico speculativo iberico. Un pezzo del castello di carta, mutui, bolla immobiliare e irresponsabilità che è passato allegramente sia con i governi di destra (Aznar) che di sinistra (Zapatero). Speculare è la situazione del calcio in Italia con l’aggiunta della corruzione, delle inchieste sulle partite comprate e vendute. Il passivo delle squadre italiane di calcio è mostruoso, con il Fisco in passato si è perfino arrivati a spalmare i debiti e la situazione è sempre la stessa: stadi semivuoti e profondo rosso. Spagnoli e italiani quando si tratta del calcio (e non solo) entrano in perenne fiesta, ma proprio per non farla finire, bisognerebbe cominciare a ragionarci sopra con un minimo di serietà. Mentre il governo Rajoi annaspa, chiede aiuto, la disoccupazione spagnola galoppa al 24,1 per cento (peggio che nel 1929 negli Stati Uniti), mentre il sistema bancario iberico finisce sott’acqua e bisogna mandare i palombari per salvarlo, il calcio spagnolo produceva risultati davvero strepitosi. Sì, certo, i club hanno vinto tutto quello che c’era da vincere, ma a che prezzo? Il debito del calcio spagnolo tra prima e seconda divisione s’aggira intorno ai cinque miliardi di euro, pari a circa mezzo punto del deficit nazionale. Gli incassi annuali sono di circa 1,8 miliardi ma le spese correnti sono di 300 milioni più alte. Il debito delle società calcistiche con il Fisco si aggirerebbe intorno a un miliardo e il governo ha dovuto farsi dare in garanzia il 35 per cento degli incassi dei diritti televisivi. Scandolosi i termini dell’accordo con il Fisco: i club hanno otto anni di tempo per mettersi in regola, anno 2020. A nessun contribuente sarebbe mai stata concessa una simile scadenza. Ma il calcio a spese del povero contribuente spagnolo e ora europeo può tutto. Real Madrid e Barcellona hanno un rosso di oltre un miliardo di euro, e pagano oltre ogni limite Lionel Messi e Cristiano Ronaldo: 10,5 milioni l’anno per l’argentino e 13 milioni l’anno per il portoghese. Certo, fanno sognare le tifoserie, sono l’ingrediente del «panem et circenses» alla spagnola, ma qui c’è qualcosa che non torna. Le banche finanziano la Liga, ma quel ««buco» lo copre l’Europa. Dovrebbero portare i libri in tribunale e fallire. Ma parliamo di calcio. E politica. E consenso. E voti. Ecco perché Caja Madrid ha concesso a Florentino Peres, patron del Real, 76,5 milioni di euro per portare allo stadio Bernabeu Cristiano Ronaldo e Kaka. Se la Spagna affoga nel crac del gol, l’Italia non se la passa meglio. Solo i debiti della Serie A toccano la cifra monstre di 2,6 miliardi di euro, in crescita del 14 per cento rispetto all’anno precedente, secondo il «Report Calcio 2012» dell’Arel. Leggiamo insieme: «La perdita netta prodotta dal calcio professionistico italiano nel 2010-2011 è pari a 428.208.944 euro, in aumento rispetto alla stagione passata (+80.956.773 euro, +23,2 %). Il risultato è negativo in tutte le Leghe. 19 sui 107 club analizzati hanno riportato un utile (18%)». Anche qui, qualsiasi altra azienda avrebbe portato i libri in tribunale per dichiarare fallimento. Invece si va avanti, allegramente, spensieratamente. Tanto le banche - che fanno penare imprese e famiglie - aprono i cordoni della borsa e poi lo Stato ripiana e ora anche l’Europa. C’è un triste destino incrociato tra il pallone e i bilanci dello Stato. In Spagna come in Italia. E per questo la partita di oggi a Danzica - e molte altre di questo campionato europeo di calcio in un’Europa in crisi - è significativa. Parla lo spread: btp italiani a 444, bonos spagnoli a 489. Tra azzurri e furie rosse, vince la Germania.