Super Mario Draghi manda messaggi chiari al mondo politico ed economico che vede nella Banca Centrale Europea, uno degli snodi cruciali per risolvere la crisi mondiale.
Ildebito si abbatte con il taglio della spesa. Poi ai leader europei che parlano di nuova fase dell'integrazione economica ma si limitano solo alle enunciazioni di principio: serve più visione dell'Europa per farne un'unione economica, non solo monetaria. Non manca la stoccata a Obama, che da giorni tira le orecchie ai governi europei spingendoli a fare di più per contrastare la crisi dell'euro: non si possono addossare all'Europa tutte le colpe della crisi. Altre economie hanno le loro responsabilità e devono ancora agire per correggere gli squilibri interni. Se non fosse che Draghi governa la sola massa monetaria europea ieri i suoi giudizi potevano essere quelli del presidente degli Stati Uniti d'Europa. Forse in un futuro. Per ora ligio al suo dovere di custode della solidità dell'euro ha preso due decisioni monetarie. La prima è stata quella di lasciare il costo del denaro all'1%. Una scelta non presa all'unanimità e indicativa del fatto che nel palazzo dell'Eurotower le divisioni e le fratture cominciano a diventare la costante. La seconda è stata quella di assicurare la liquidità ai mercati finanziari in maniera pressoché illimitata con aste trimestrali. La merce, i soldi, negli scaffali delle banche non mancherà. Dunque il problema è capire se questa montagna di denaro stipata nelle casse sarà poi concessa alle imprese. Il problema nonostante tutto resta questo. Gli istituti ora sono ricche di liquidità. In parte utilizzata per costruire i conti economici degli istituti con investimenti finanziari e dunque poco trasmessa alle aziende che ne hanno un bisogno vitale. Non se ne esce. C'è una legge internazionale, Basilea 3, che obbliga le filiali a concedere soldi sulla base della patrimonio e del capitale proprio in azienda. Più un'azienda è patrimonializzata più facile è l'accesso ai fidi. Un problema per il sistema italiano fatto da piccole e medie imprese sottocapitalizzate. Il nodo è questo. E sono i politici, non i tecnici, a poter trovare meccanismi per capitalizzare le imprese italiane. Dare solo soldi alle banche non risolve il problema. Non è escluso dunque che debba essere un governo politico, anche in tempi brevi vista la gravità della situazione, a gestire questo delicato passaggio. Fin qui le sfide dell'Italia. Draghi non si è limitato ad assicurare fondi alle banche ma ha attaccato l'atteggiamento degli Usa. L'Europa non è l'unica responsabile della crisi: ci sono anche gli Usa. E la Bce, che è pronta ad agire, resiste all'appello di Washington e per ora rimane in stand-by sulla politica monetaria. Con questa impostazione, messa in chiaro alla conferenza stampa della Bce, Draghi sta facendo muro contro le richieste di chi, a Washington e non solo, avrebbe voluto una banca centrale più simile alla Fed americana, «prestatore di ultima istanza» dei governi. Intanto da Washington a Pechino, passando per Londra, Roma e Parigi, la parola d'ordine in vista del G20 di Los Cabos del 18 e 19 giugno è una sola: serve un «piano immediato» da parte dell'Europa per arginare una crisi finanziaria che rischia di travolgere tutto e tutti. Un piano da mettere sul tavolo «con urgenza», già in occasione del summit messicano, in modo che i leader Ue possano prendere delle decisioni definitive in occasione del Consiglio europeo di fine mese. Dopo la teleconferenza dei ministri delle finanze del G7 di martedì - il presidente americano ha chiamato il premier britannico David Cameron che oggi vedrà Angela Merkel - il primo ministro italiano Mario Monti e la stessa cancelliera tedesca. Probabile che nelle prossime ore arrivi anche la chiamata all'Eliseo. A tutti Obama ha chiesto di «restare in stretto contatto» in vista del summit di Los Cabos. La Casa Bianca, stavolta, non vuole lasciare nulla al caso, e vuole essere più che mai presente e parte attiva nella ricerca delle giuste soluzioni per la crisi europea.