Renzi, il più amato da Confindustria
Nessunonel Pd ha mai ricevuto un complimento – o meglio un appoggio – così palese da Confindustria come quello che gli è arrivato ieri dal nuovo presidente Giorgio Squinzi. Certo non sarà contenta la «sinistra» dei Democratici per la quale gli industriali sono comunque e sempre la controparte piuttosto che gli alleati, ma il mondo al quale guarda e al quale fa riferimento il sindaco di Firenze non può che esserne soddisfatto. E per Renzi quei complimenti arrivati ieri sono moneta sonante da mettere da parte e spendere quando dovrà iniziare la scalata ai vertici del Pd. Per diventarne segretario o candidato premier. O entrambe le cose. Perché comunque con lui prima o poi i Democratici dovranno fare i conti. Intanto si gode l'endorsment del presidente di Confindustria. Giorgio Squinzi ieri ha partecipato all'assemblea degli industriali del capoluogo toscano e ha spiegato cosa pensa del sindaco: «Se io fossi a Firenze voterei per lei» gli ha detto in un faccia a faccia sul palco. «È grandissimo – ha poi aggiunto parlando al termine del suo intervento – è veramente una persona che ha delle idee e molte di queste corrispondono esattamente alle mie». Ma oltre ai complimenti ieri fra Renzi e Squinzi c'è stata anche sintonia sulle critiche al governo. In particolare sul tema dei contributi statali alle imprese. «Sono soldi che in Italia vanno sempre ai soliti – ha detto il sindaco - perché questo è un Paese fondato sui capi di Gabinetto, Chi ne conosce uno, accede ai contributi, gli altri no. Sarebbero da abolire». Un assist che è stato colto al volo dal presidente di Confindustria: «Aboliamo gli incentivi. Le nostre imprese non hanno bisogno di incentivi quanto semmai di semplificazione, di lavorare con volontà e senza impedimenti. Chiediamo solo attenzione verso i nostri problemi». Ma l'appoggio del presidente di Confindustria è solo l'ultimo tassello di una ragnatela di rapporti che Matteo Renzi si è costruito negli anni. E che lo hanno fatto diventare uno degli esponenti del Pd maggiormente accreditati tra gli imprenditori e i banchieri. Quei «poteri forti» che spesso i suoi compagni di partito gli rimproverano. Specialmente a Firenze, dove la «sinistra» Democratica gli ha dichiarato guerra da tempo. Lui, figlio di un esponente della sinistra Dc, giovanissimo esponente dei comitati per Prodi, poi assistente parlamentare di Lapo Pistelli e a soli 30 anni presidente della Provincia di Firenze, di quella rete di conoscenze e relazioni che lo avvicinano più al mondo della destra berlusconiana che a quello del Pd bersaniano se ne fa un vanto. E dentro quel mondo si muove con estrema spregiudicatezza. Un anno e mezzo fa quando andò a trovare Berlusconi ad Arcore fece andare fuori dai gangheri Bersani. Ma, si racconta, in quell'incontro Renzi avrebbe provato a convincere il Cavaliere che se il centrodestra non riuscirà a vincere le elezioni lui sarebbe il miglior avversario possibile da avere a palazzo Chigi. E il perché lo ha fatto capire qualche mese fa quando, parlando di Sergio Marchionne, ha detto chiaramente «io sto con lui senza se e senza ma». Parole che hanno fatto inorridire buona parte del Pd. Ma non quella parte del centrosinistra che invece guarda con attenzione al sindaco «rottamatore».