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Il voto non è un tabù Ma dopo che si fa?

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Quando a marzo scorso scrissi che nel Pd accarezzavano l'idea di aprire una crisi di governo in estate per andare al voto in ottobre, le reazioni furono quelle di chi era stato pescato con le mani nella marmellata. Naturalmente, il partito di Bersani negò in coro, ma era chiaro che quella era un'opzione sul tavolo. Le parole di Stefano Fassina, responsabile economico Pd, non solo confermano quel che avevo anticipato, ma rafforzano la logica che sta dietro quello scenario. Monti non è il candidato della sinistra, tantomeno del Pd. È stato imposto da Napolitano perché era l'unica soluzione possibile. La conditio sine qua non che rendeva possibile il passo indietro di Berlusconi e apriva le porte a una «pax parlamentare» necessaria dopo diciotto anni di guerra totale tra i due blocchi della politica italiana. Fassina non esprime una posizione condivisa da tutti, ma testimonia che il dibattito interno esiste e ha i suoi sostenitori. Tanto che durante la giornata non si è sognato di fare marcia indietro. Considera il tema degno di una discussione nella direzione del partito. E credo abbia ragione. Altrettanto dovrebbe fare il Pdl. Le assemblee dei gruppi parlamentari l'altro ieri più che sciogliere dei nodi, hanno imbrogliato la matassa. Prova ne sono le reazioni scomposte arrivate dal centrodestra alle parole di Fassina. Una babele tra chi ne era entusiasta e chi le bollava come una provocazione. Poche idee, ben confuse. Eppure una discussione seria è urgente. Il Pdl ha bisogno di ritrovare un suo profilo politico, un programma da presentare al Paese, una road map da qui alle elezioni (anticipate o meno) e fare un'analisi oggettiva di questi mesi in cui ha sostenuto il governo Monti, al quale, francamente, per ora non ci sono alternative. Nello stesso tempo il presidente del Consiglio - e il capo dello Stato - devono riflettere sulle cose fatte e sugli errori commessi. Ci sono state retromarce inspiegabili (quella sulla riforma del lavoro) e accelerazioni senza adeguata riflessione sul fronte dei costi sociali (pressione fiscale), delusioni innegabili (l'azione del ministero dello Sviluppo) e sbandamenti da evitare. Votare non è un tabù, ma farlo senza pensare al bene del Paese, in queste condizioni, ci fa tornare al punto di partenza: sull'orlo del crac.

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