Dietrofront Berlusconi «Stampare euro? Solo una battuta»
Il Cavaliere smentisce la deriva grillina Ma i falchi: «Ripensare sostegno a Monti»
Ilgiorno dopo la sparata sullo stampare euro in proprio, Silvio Berlusconi fa retromarcia e liquida tutto come una semplice «boutade», prendendosela anche con chi, giornalisti in primis, non è stato capace di distinguere bene il serio dal faceto. «Che una battuta - detta, tra l'altro, "intra moenia" con ironia e col sorriso - venga scambiata per una proposta, è cosa certamente grave per chi dice di fare informazione politica». Questo l'incipit della nota che l'ex premier fa diffondere in mattinata. Il seguito non è meno duro: «È addirittura preoccupante che questa battuta venga presa a pretesto per costruirci sopra teorie stravaganti su presunte mie prossime "mosse", o per inventare una nuova linea politica mia o del PdL. Non è bastato che io stesso la definissi "un'idea pazza" per chi evidentemente persegue finalità diverse da quelle di informare». La solita stampa incapace di fare il proprio lavoro, in definitiva. Peccato che poi il discorso dell'euro, dopo essere stato pronunciato all'assemblea con i gruppi parlamentari del Pdl, fosse stato ripreso proprio sulla pagina Facebook del Cavaliere, dove ancora ieri campeggiava il post con i commenti dei fan che avevano superato quota mille. Altro che «intra moenia», «ironia e sorriso» o «idea pazza». Resta da comprendere il motivo di una retromarcia che ha lasciato un po' di amaro in bocca soprattutto all'ala estremista del partito, che aveva subito riservato un plauso caloroso all'uscita del capo. Probabilmente a incidere sono state anche le perplessità dei «moderati» che, al di là della larga parte che aveva deciso di disertare l'incontro romano, hanno lasciato il vertice abbastanza scuri in volto. «Difficile pretendere di rimettere in piedi un'alleanza con Casini se poi si usano gli argomenti di Grillo», questa la tesi dei «malpancisti». Il Cavaliere, in effetti, non vi era andato giù leggero. Aveva invitato la Bce a stampare moneta altrimenti l'Italia lo avrebbe fatto in proprio (in realtà la Zecca di Stato lo fa già adesso, ma probabilmente Berlusconi si riferiva alla possibilità di farlo oltre i limiti imposti da Bruxelles). Aveva messo nel mirino l'ostracismo della Germania di Angela Merkel, auspicando un'uscita tedesca dall'euro in caso di mancato accordo. Aveva infine palesato la possibilità per l'Italia di abbandonare la moneta unica «perché la Gran Bretagna non vi ha aderito eppure è solidissima». Alla fine, di tutto quello che Berlusconi aveva messo nel calderone restano buone solo le punzecchiature a Mario Monti. Quelle, cioè, attraverso cui ha invitato il professore a cambiare linea e a «continuare il lavoro che stava facendo il mio governo». Anche perché, aveva insistito il Cav, «ora si è visto che l'aumento dello spread non era una nostra responsabilità». Sono questi gli argomenti su cui anche ieri hanno continuato a puntare i «falchi»: «Monti critica la Merkel per le stesse ragioni, tardivamente colte, che aveva espresso Berlusconi - ha detto il presidente dei senatori Maurizio Gasparri - forse i toni sono più contenuti, ma la sostanza è la stessa. Allora chi ha torto e chi ha ragione?». «Il governo non si occupa di debito pubblico e mostra imperizia su troppe cose - ha continuato Gasparri - fino a quando sopportare? Mi chiedo come e perché sostenere un governo in affanno e un'Europa suicida. Il problema non è staccare la spina. Ma controllare se la spina è attaccata a una presa che dà energia». Sulla stessa lunghezza d'onda il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto: «Ora anche Monti si trova nella condizione di dover fronteggiare i saliscendi dello spread. Adesso deve sollecitare una svolta in Europa su temi quali il ruolo della Bce e gli eurobond». D'accordo Ignazio La Russa:«Serve una banca a livello europeo di riferimento dell'euro e questo rappresenta un punto di profonda differenza con Monti». Il dibattito è aperto. Resta il nodo di chi sarà a dirigerlo. Venerdì Berlusconi si è ritagliato il ruolo di «allenatore», che è comunque cosa ben diversa da quello di «padre nobile» del partito. Un interventismo che ha ancora una volta oscurato il segretario Alfano, non a caso tra quelli apparsi più contrariati dopo il vertice con i gruppi parlamentari. Il delfino del Cav, infatti, si trova nella difficile situazione di tenere a bada le varie anime del Pdl in fermento, compresa quella dei giovani «formattatori». Questi ultimi, nel raduno di Pavia del 26 maggio, gli hanno confermato la fiducia. Ma hanno anche imposto un ultimatum: o entro luglio cambia la gestione del partito, con volti nuovi e uno schema più partecipativo, oppure la guerra ripartirà con maggiore intensità. Il compito di Alfano, ridimensionato anche agli occhi degli ex alleati («nel Pdl comanda ancora Berlusconi e questa non è una cosa buona», ha detto Maroni), non si preannuncia facile. Né gli è andato in soccorso il «padrino» Silvio quando ha definito i formattatori solo «dieci ragazzotti che hanno ancora bisogno di essere guidati».