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Corazzieri a piedi Simbolo del Paese

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La sfilata è stata sobria e silenziosa ma l'effetto è stato malinconico

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Ilplotone di Guardie del Presidente marciare al passo lungo via dei Fori Imperiali è senz'altro il simbolo della parata di ieri 2 giugno, voluta nel segno della sobrietà in omaggio alle vittime del terremoto in Emilia. Così, come l'assenza del rombo delle Frecce Tricolori che dipingono il cielo di Roma di bianco, rosso e verde, ha lasciato in tanti il sapore amaro di una Festa celebrata in tono sommesso. La sfilata del 2 giugno doveva essere improntata alla «sobrietà» e con il pensiero rivolto alle popolazioni colpite dal terremoto in Emilia Romagna. E così è stato. Niente parata per mezzi corazzati o semoventi, niente cavalli, niente musica delle bande militari. Un intenso minuto di silenzio è stato rigorosamente osservato: ne è seguito un lungo e caloroso applauso al passaggio dei gonfaloni delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna e delle province di Bologna, Ferrara, Mantova, Modena e Rovigo, in testa alla sfilata. Una parata asciugata al massimo, durata solo 50 minuti. Le massime autorità dello Stato - con in testa il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che tanto si è battuto per lo svolgimento della sfilata - hanno preso posto sulla tribuna autorità. Gli onori al capo dello Stato sono stati portati da un drappello di corazzieri a piedi mentre l'ordine di sfilamento della parata è stato composto da solo tre settori, rigidamente a piedi. Settori che, pur con la presenza delle loro bande musicali, hanno interrotto la musica al passaggio davanti al palco autorità con il solo suono dei tamburi. Unica eccezione il canto della Brigata Sassari «Dimonios», inno che parla di dolore e di sofferenza. Spettacolo surreale anche la corsa del 6° Bersaglieri senza il tradizionale suono della fanfara, ammutolita poco prima di arrivare davanti alla tribuna delle autorità. La parata si è, quindi, chiusa con il passaggio di una rappresentanza degli Enti e dei corpi, armati e non che si stanno prodigando. Sono 4.500 uomini e donne che stanno portando assistenza e sollievo alle popolazioni colpite dal sisma. Tanti applausi, naturalmente, al passaggio di un contingente dei Vigili del Fuoco in formazione ridotta, è stato spiegato da uno speaker perché in 1.200 impegnati in Emilia. Applausi anche al passaggio del Reggimento San Marco, quello dei due sottufficiali bloccati in India. E ieri in tanti lungo il percorso della parata indossavano il «fiocco giallo» per solidarietà coi fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Meno divise a sfilare e meno gente assiepata dietro le transenne. Ridotte la presenze in tribuna d'onore. Forse anche questa una scelta di «essenzialità». A parte l'assenza dei leghisti, dei quali nessuno ha sentito la mancanza, si è notata invece quella del sindaco Alemanno che aveva sostenuto l'idea di non fare la parata per rispetto alle vittime del sisma. Erano presenti i presidenti di Provincia e Regione Lazio, Nicola Zingaretti e Renata Polverini, entrambi sicuri, al di là della loro convinzione personale, che fosse «giusto garantire la presenza di chi rappresenta le istituzioni». E non c'erano neppure i segretari di Pd e Pdl, il primo a Poggio Renatico tra i rappresentanti e gli amministratori dei comuni terremotati, nonostante i loro partiti siano doverosamente rappresentati da presenze di primo piano tra le autorità sedute in Tribuna. Come Massimo D'Alema, presidente del Copasir o alcuni degli ex ministri del governo Berlusconi, tra i quali Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri. Polemico con gli assenti Pierferdinando Casini, in tribuna con il figlioletto Francesco: «C'è chi pensa di guadagnare popolarità non venendo qui. Questa è veramente una cosa ridicola». Alla fine, Giorgio Napolitano ha ringraziato il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, per la manifestazione svoltasi con i «toni di sobrietà e di essenzialità che s'impongono nel difficile periodo che sta attraversando il Paese, colpito in questi giorni da accadimenti sconvolgenti e da gravi perdite di vite umane». Maurizio Piccirilli

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