Ora si riducano i rimborsi
Aicui dirigenti è diventato ancora più difficile il tentativo di sfuggire alle loro responsabilità dichiarandosi vittime di raggiri, ora che i giudici li hanno chiamati per nome - «il Rutelli, il Bocci e il Bianco», l'ex repubblicano Enzo Bianco – e rimproverati di non avere controllato abbastanza, o per niente, il loro tesoriere Luigi Lusi. In cui avevano riposto una fiducia tanto illimitata quanto «incauta». Viste le sue dimensioni crescenti, lo scandalo dei cosiddetti rimborsi elettorali della Margherita fa risaltare ancora di più l'inadeguatezza, per non dire peggio, della legge con la quale i maggiori partiti stanno miseramente tentando di salvare la faccia e la cassa: la faccia con presunti maggiori controlli e la cassa continuando a godere del finanziamento pubblico, per quanto ridotto. Un finanziamento - non dimentichiamolo - abolito dagli elettori con un referendum nel 1993 e immediatamente ripristinato dai partiti con un raggiro che grida e continuerà a gridare vendetta. È il raggiro del nome: da finanziamento pubblico a rimborso, sempre pubblico e praticamente forfettario, di spese elettorali a quel punto presunte. Passata alla Camera nei giorni scorsi dopo una quarantina di giorni di penosa gestazione, la nuova legge deve superare l'esame del Senato. Dove si spera che una volta tanto serva a qualcosa di buono il costoso e dilatorio bicameralismo cosiddetto perfetto. Serva cioè a cambiare radicalmente il provvedimento, abolendo o riducendo ulteriormente il finanziamento pubblico e dandone il controllo non a a strane commissioni pseudo-giudiziarie, sopra le quali rimangono i partiti con la pratica copertura dei presidenti delle Camere, ma ad una vera magistratura contabile. Che è la Corte dei Conti, alla cui competenza, peraltro rivendicata, i partiti non hanno voluto piegarsi. Si abbia almeno il coraggio, e il buon gusto, al Senato di stabilire che per accedere al finanziamento pubblico, o come diavolo si preferisce chiamarlo, occorra chiederlo espressamente. Ciò permetterebbe agli elettori anche di capire se e chi bara, fra i partiti, pure nell'opera di contrasto o di distinzione a questa pratica diventata odiosa per l'abuso che se n'è fatto. Ci sono forze politiche che a parole dicono di essere contrarie, ma sono pronte a usare la legge nuova come hanno fatto con la vecchia, per atto dovuto. Se ne assumano tutti di volta in volta la responsabilità, anche per rispondere meglio di ciò che poi fanno. Meglio - si spera - di quanto ancora cerchino di fare i già ricordati dirigenti della ex Margherita continuando a registrare increduli gli sviluppi della vicenda giudiziaria del loro ex tesoriere. E augurandosi che siano solo «refusi» gli ammanchi che via via emergono dai controlli effettuati da altri, non da loro. Una incredulità, quella dei politici della ex Margherita, che fa pena. Quanto quella dei dirigenti leghisti, anch'essi alle prese con una storiaccia di sperperi. Qui gli unici a potersi sentire e dire increduli sono i cittadini. Increduli anche degli altri dodici giorni di tempo che ha voluto prendersi ieri al Senato la giunta delle immunità per pronunciarsi sulla richiesta di arresto di Luigi Lusi, avendone appena ricevuto un nuovo memoriale difensivo. Dodici giorni. Avrebbero dovuto bastare dodici ore. O ventiquattro. Facciamo quarantotto.