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Ultimatum Idv e Sel a Bersani e al Pd

Pierluigi Bersani, segretario del Pd

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Lui prova a snobbarli e loro lo incalzano: decidi. Sembra una storia d'amore, in realtà si tratta del complicato rapporto tra Pier Luigi Bersani, Nichi Vendola e Antonio Di Pietro. Il segretario del Pd pensava di essersi garantito un po' di tranquillità rivendicando il successo delle amministrative, spiegando che il suo partito è il «perno» dell'alleanza di centrosinistra e, novità degli ultimi giorni, annunciando per martedì il lancio di un appello per tutti i «riformisti e progressisti». Gli è andata male. Infatti ieri Vendola e Di Pietro, appena realizzato che la promessa di Bersani nascondeva la volontà di continuare a «corteggiare» l'Udc, hanno lanciato il loro contrappello. Lo hanno fatto durante la trasmissione In Onda seduti uno a destra e uno a sinistra di una sagoma di cartone rappresentante il leader del Pd. In pochi lo ricorderanno, ma uguale scena doveva verificarsi già a settembre dello scorso anno quando Pier Luigi, invitato da Tonino assieme a Nichi, aveva pensato di disertare la festa Idv di Vasto. La sedia vuota e la sagoma di cartone erano già pronte. Ma poi Bersani cedette e nacque così la «foto di Vasto» che ancora oggi lo tormenta. E che anche ieri lo ha costretto a subire l'ennesimo ultimatum. Il primo ad affondare è stato Vendola: «Convochiamo gli stati generali del futuro, del centrosinistra come luogo per salvare il Paese. Bersani dice no? Io e Di Pietro apriamo il cantiere, cominciamo lo stesso da soli». «Bisogna costruire un'alleanza molto più vasta - ha spiegato il governatore pugliese - con alleati che secondo me sono attualmente soprattutto non dentro ma fuori il quadro politico. Io voglio sapere qual è l'idea, qual è il programma per l'Italia, altrimenti è solo un balletto dell'alleanzismo e delle formule non me frega niente». «Stiamo parlando di numeri e formule dei quali ai cittadini non frega niente - ha rincarato il leader Idv - io chiedo un programma chiaro e preferisco stare fuori dal grumo di potere di chi si guarda allo specchio e pensa di rappresentare il Paese mentre rappresenta solo se stesso. Stabiliamo tre cose chiare: non si candidano i condannati, c'è un'incompatibilità con altri ruoli, chi è eletto non può avere incarichi di governo». Insomma, nemmeno troppo tra le righe, non è difficile capire che per Vendola e Di Pietro è ora di mollare al suo destino Pier Ferdinando Casini. Meglio proseguire lungo la strada di un centrosinistra «modello Hollande», di un «programma socialdemocratico di tipo europeo». Peccato che a via del Nazareno sembrano avere altre idee. Bersani affida il compito di replicare al responsabile Enti Locali Davide Zoggia che se la prende soprattutto con Tonino e con le sue invettive nei confronti di quello che «dovrebbe essere il principale alleato e guida della coalizione». In realtà il problema è che il Pd, o almeno una sua significativa componente (da Rosy Bindi a Enrico Letta, passando per Beppe Fioroni), non vuole assolutamente mollare i «moderati». Paolo Gentiloni, che con Walter Veltroni e Fioroni guida la minoranza Democratica, in un'intervista ad Avvenire, si spinge fino al punto di ipotizzare un Pd che vada da solo alle Politiche 2013. Con il doppio turno sarebbe un'ipotesi percorribile (le alleanze verrebbero definite dopo la prima tornata elettorale come accade in Francia). Per tutta risposta Di Pietro fa sapere di aver già invitato Bersani a Vasto per la fine di settembre. Non ci andrà? Metteranno una sagoma di cartone.

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