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Il Pd senza via d'uscita costretto a tenersi Bersani

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Pierluigi Bersani

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Sarà anche «l'eccezione». Un «caso» isolato in una città, Parma, in cui la rabbia dei cittadini era alla ricerca di una valvola di sfogo. Ma il «fattore Grillo» comincia a preoccupare i vertici del Pd. Soprattutto perché nel partito si inizia ad agitare lo spauracchio del comico genovese per indirizzare la linea dei Democratici o, meglio, per chiedere un «cambio generazionale» che allarma soprattutto Pier Luigi Bersani. Perché è vero, dopo il turno di ballottaggi, il leader del Pd è leggermente più forte. I Democratici hanno retto battendo nettamente il Pdl in termini di città conquistate. Ma non basta. Anzi, paradossalmente è peggio. Perché l'impressione è che se non si trova la «bacchetta magica», la sorte toccata al partito di Berlusconi possa presto colpire anche a quello di Bersani. La situazione ha molte analogie con ciò che accadde nel 1994. Anche allora la compagine avversaria era inesistente, la vittoria sembrava lì, a portata di mano, ma sfuggì all'improvviso quando un imprenditore milanese decise di scendere in campo fondando Forza Italia. Oggi quel ruolo potrebbe svolgerlo Beppe Grillo. Quindi occorre correre ai ripari. Come? Qui le risposte si diversificano mostrando tutte le spaccature interne al partito. Per il vicesegretario Enrico Letta servono «cambiamenti e riforme, soprattutto sulla trasparenza». Il «rottamatore» Matteo Renzi è ancora più netto: «O si ha il coraggio di una radicale rivoluzione delle forme della politica e dei volti dei politici, oppure ci troviamo Grillo al 20%». Il sindaco di Firenze ha già pronta la sua ricetta che ripete ossessivamente da giorni: primarie a ottobre. Peccato che ancora non sia chiaro se lui abbia o meno intenzione di correre. Chi lo conosce bene assicura che alla fine non lo farà, ma nel dubbio a via del Nazareno si stanno già organizzando. E ieri, con un'intervista all'Espresso, è sceso in campo addirittura Massimo D'Alema. Dopo aver spiegato che «Parma è l'eccezione», il lìder Maximo ha blindato il segretario: «È il nostro candidato premier. Ci sono due possibilità di derogare: o dall'interno, chiedendo un nuovo congresso, o dall'esterno, se resta il Porcellum e un altro partito ci contesta la guida della coalizione. In quel caso, si farebbero primarie di coalizione». Tradotto: Renzi non sarà mai il nostro candidato premier. Il congresso, infatti, può essere convocato o per iniziativa del presidente del partito Rosy Bindi su mandato della direzione, o se 200 membri dell'Assemblea chiedono che questa venga convocata e poi, in quella sede, sfiduciano il segretario. Bindi non ha alcuna intenzione di fare favori al sindaco di Firenze. «Non siamo rimasti in piedi in questo tsunami - spiega parlando con Il Mattino - per far fare le primarie a Renzi». Ed è fin troppo chiaro che in un'Assemblea a maggioranza bersaniana la sfiducia è pressoché impossibile. Poi ci sono le «primarie di coalizione» che, in quanto tali, prevederanno un candidato per ogni partito. E di certo quello del Pd non sarà Renzi. Insomma sarà anche vero che i cittadini non ne possono più dei D'Alema, dei Bersani e dei Veltroni, ma l'impressione è che se li terranno ancora per un po'. Archiviata la pratica, D'Alema si concentra sugli altri che potrebbero creare problemi. Prima boccia Grillo («Se vincesse nel 2013 per l'Italia sarebbe il crac»), poi si rivolge a Corrado Passera e Luca Cordero Montezemolo («Se pensano di candidarsi devono dirlo adesso, con chiarezza»). L'ultimo pensiero è per «una parte della borghesia italiana», quelle «forze che agiscono per smantellare l'unica prospettiva in campo», l'unica forza in grado «di dare una guida politica al Paese». In ogni caso, assicura, «non commetteremo lo stesso errore politico del '94». Italia Futura, il think thank presieduto da Montezemolo, commenta il ragionamento dalemiano con poche parole: «Dal marxismo al marziano. Ovvero: Ego Maximo, pensiero minimo, partito unico». La sfida è lanciata. E Bersani? Blindato dai suoi e dall'assenza di alternative il segretario si concentra sul pressing nei confronti di Monti. L'obiettivo è cercare di mettere in campo misure per rilanciare l'economia. Dopotutto, sottolinea ancora D'Alema, «sulla crescita il governo sembra in difficoltà». Insomma servono subito investimenti che ridiano fiducia agli italiani. E li convincano che Grillo non è la soluzione del problema.

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