Bossi: "Andrò via solo quando la Padania trionferà"
La prima dichiarazione di Umberto Bossi dopo l'informazione di garanzia ricevuta, mercoledì, dalla Procura di Milano è arrivata stamani attraverso i suoi fedelissimi. «Non è assolutamente vero che ho intenzione di lasciare, io lascerò soltanto quando la Padania trionferà», è il messaggio del presidente della Lega, indirizzato anche a Roberto Maroni, nel giorno del suo annunciato ritorno fra i militanti del Carroccio, questa sera in un ristorante di Lesa, sulla sponda piemontese del Lago Maggiore. Il fatto è che il suo silenzio, che in realtà dura già dalla chiusura della campagna elettorale per il primo turno delle comunali, è stato in vario modo interpretato. Sia dai leghisti sia dalla stampa. E certe ricostruzioni, apparse sui giornali mentre Roberto Maroni tracciava la strada della 'Lega 2.0' sospinta anche dalle inchieste giudiziarie, hanno indotto un Bossi orfano delle tribune elettorali a far sapere che parlare di un suo ritiro dal Carroccio è «la prova provata che piacerebbe al sistema e ai suoi uomini». Non si sa se questa sera Bossi, alle prese con il ruolo dei figli Renzo e Riccardo indagati insieme a lui, esternerà con la sua viva voce umori e pensieri di una settimana difficile anche per uno con il carattere come il suo. A Lesa, due estati fa, discuteva di come far andare avanti il governo nella villa di Silvio Berlusconi, fallendo nel tentativo di convincere il Cavaliere ad andare al voto anticipato. Questa sera, invece, è ad una cena con militanti del Piemonte in un ristorante, in compagnia del governatore leghista Roberto Cota. Anche se non sarà in una piazza, ma in un luogo privato, la prima uscita pubblica del Senatur indagato con l'accusa di truffa aggravata ai danni dello Stato ha, dunque, creato attesa. Mai come in questi ultimi giorni, del resto, la quotidianità di Bossi è stata il segno di una certa discontinuità nella Lega. L'ex segretario non ha fatto nemmeno un comizio per sostenere i (pochi) candidati del Carroccio ai ballottaggi. Ci ha pensato Maroni, da lunedì segretario federale in pectore, ad andare dove era necessario. L'uno, Bossi, chiuso o in casa a Gemonio o nel suo ufficio milanese di via Bellerio, ha evitato di incrociare il pubblico e i giornalisti. L'altro, Maroni, che in una settimana ha ottenuto dal vecchio Capo l'investitura per la successione e ha dato il via libera all'ascesa di Matteo Salvini, si è fatto vedere a Senago, a Meda, a Tradate e a Cantù. E stamani, come di consueto al sabato mattina, ha stretto mani e sorriso mentre passeggiava lungo corso Matteotti, nella sua Varese, fermato dai passanti, fra un caffè al bar e uno sguardo alle vetrine.