La confusione di Bindi e La Russa
La rappresentazione plastica dello stato di confusione in cui si trovano entrambi i maggiori partiti - Pdl e Pd - anche dopo i ballottaggi conclusivi di queste elezioni amministrative di maggio l’hanno offerta ieri pomeriggio al Tg3 Ignazio La Russa e Rosy Bindi. Che hanno contestato con la stessa goffaggine le diagnosi critiche formulate sul conto delle due formazioni politiche, rispettivamente, dal direttore de Il Tempo Mario Sechi e dall’editorialista del Corriere della Sera Antonio Polito. L’ex ministro della Difesa La Russa, tuttora fra i coordinatori nazionali del Pdl, ha cercato di lanciare il cuore oltre l’ostacolo delle perdite subite un po’ ovunque dal proprio partito rivendicando ai suoi elettori di Parma, pochi o molti che siano rimasti, il merito di avere votato per il "grillino" Federico Pizzarotti. Che, saltando da quasi il 20 al 60,2 per cento dei voti, ha stracciato nel ballottaggio il candidato del centrosinistra Vincenzo Bernazzoli, rimasto fermo sotto il 40 per cento. Ha fatto di peggio, iscrivendosi tra i vincitori del ballottaggio a Palermo, l’ex ministra della Sanità Bindi, vice presidente della Camera. Che forse era arrivata già nervosa in trasmissione anche per gli schizzi di fango rovesciatigli addosso nei giorni precedenti dall’ex tesoriere Luigi Lusi con la storiaccia, tutta da chiarire, dei rimborsi elettorali della Margherita. Dove era confluita negli anni passati, con gli ex radicali e verdi di Rutelli ed altri profughi di vecchie formazioni politiche, quella che era stata la sinistra democristiana della Bindi, appunto, Franco Marini, Dario Franceschini, Enrico Letta e altri. Il "peggio" della vice presidente della Camera, rispetto a La Russa, sta in due circostanze. Lei è anche presidente del proprio partito: ruolo che dovrebbe consigliarle una certa prudenza, dovendo ragionevolmente rappresentare anche chi nel Pd non condivide le sue opinioni e preferenze. Penso, per esempio, a tutti gli elettori palermitani del Pd che nel ballottaggio hanno continuato a votare per il loro candidato ufficiale, scelto con tanto di primarie. Si tratta di Fabrizio Ferrandelli, salito dal 17,3 per cento del primo turno al 27,6 del secondo turno, ma surclassato dall’ora dipietrista Leoluca Orlando. Che, dopo avere contestato la vittoria di Ferrandelli nelle primarie su Rita Borsellino, sorella del famoso e benemerito magistrato ucciso dalla mafia venti anni fa, si era candidato autonomamente rinverdendo i suoi lontanissimi trascorsi di sindaco. E aveva spaccato la coalizione di centrosinistra e il Pd, sino a vantarsi con il 47,4 per cento del primo turno, passato al 72,4 nel ballottaggio, di avere preso nel segreto dell’urna "più della metà" dei voti degli elettori del partito guidato a livello nazionale da Pier Luigi Bersani. Se nel maggiore partito della sinistra si riducono, con la voce persino del presidente, a sconfessare il loro candidato e a compiacersi del successo del suo antagonista pur di sventolare altre bandierine municipali, sono messi veramente male. Specie se si considerano le ceneri su cui quelle bandierine sono piantate: una partecipazione al voto scesa alla media nazionale del 51,4 per cento, e un astensionismo conseguentemente salito al 48,6. Eppure in Italia ci permettiamo ancora il lusso, fra l’altro, di votare non in uno ma in due giorni, o quasi.