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Il Pd festeggia la non vittoria

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Pierluigi Bersani

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«Abbiamo vinto senza se e senza ma». Pier Luigi Bersani e il gruppo dirigente del Pd ripetono la giaculatoria con tono di voce fermo e crescente. Quasi urlando. Come se una verità, ripetuta con forza, abbia il magico potere di diventare «più vera». Ma forse, dietro quell'ostentata sicurezza, che si trasforma in nervosismo e rabbia non appena qualcuno prova a contestare la vittoria democratica, c'è qualcosa di più. C'è la consapevolezza che lo tsunami che ha investito i partiti maggiori e che per ora ha spazzato via Pdl e Lega, non ha certo risparmiato il Pd. Certo, le amministrative producono una matematica certezza: chi governa più comuni ha vinto. E fin qui a via del Nazareno hanno perfettamente ragione. Di 168 amministrazioni al voto con popolazione superiore ai 15 mila abitanti, il centrosinistra ne amministrava 54. Da oggi ne guiderà 98: +44. Al contrario il centrodestra è passato da 102 a 44 (-58). Poi ci sono le città capoluogo. Qui il centrosinistra ha confermato Genova, La Spezia, Piacenza, Carrara, Pistoia, L'Aquila e Taranto. E ha conquistato Alessandria, Asti, Como, Monza, Lucca, Rieti, Isernia e Brindisi. Insomma sulla carta la vittoria c'è. Senza se e senza ma. Ma i numeri, benché importanti, non sono tutto. Così bisogna andare oltre per capire se c'è e qual è il messaggio politico. Il primo dato che impressiona è sicuramente quello dell'astensione. Per Bersani «è preoccupante ma non allarmante anche perché il calo nei ballottaggi c'è sempre stato». Sarà, ma di certo non può passare in secondo piano il fatto che la città con la minore percentuale di votanti è stata la «rossa» Genova (39%) che ha fatto segnare un calo del 16,5% rispetto al primo turno. Se a questo si aggiunge che il Pd ha perso circa 30mila voti rispetto alle comunali del 2007, c'è poco da festeggiare. E poi il sindaco eletto, che per inciso ha lasciato per strada 13mila preferenze, è un uomo di Nichi Vendola e non di Bersani. Insomma ci sono tutti gli elementi per pensare a segnali di insofferenza da parte del proprio elettorato. Poi c'è il caso Parma. Qui il candidato ufficiale del Pd ha perso circa 600 voti rispetto al primo turno, ma ciò che più colpisce è il successo del grillino Federico Pizzarotti. A via del Nazareno si temeva una sconfitta sul filo di lana: è stata un'ecatombe. Anche perché lo sfidante democratico era il presidente della provincia di Parma, Vincenzo Bernazzoli. Tra l'altro si trattava di un città reduce dalla fallimentare esperienza di governo del centrodestra. Ora Bersani spiega che i Democratici a Parma (visto che non la governavano) hanno semplicemente «non vinto». Cioè, per dirla in veltroniano, hanno perso ma anche no. Un ottimo modo per negare la realtà. Lo stesso che, su per giù, viene usato per spiegare che Leoluca Orlando, a Palermo, in fondo ha vinto anche grazie a quella parte del Pd che non sopportava il proprio candidato Fabrizio Ferrandelli. Ma i casi di «amnesie democratiche» sono diversi. Non si dice, ad esempio, che il centrosinistra conquista Rieti con un candidato di Sel. Che si conferma a Taranto con un altro uomo di Vendola. Che perde Belluno contro l'ex capogruppo comunale del Pd Jacopo Massaro che, «deluso» dal proprio partito, ha deciso di correre per conto proprio. Insomma, quello che sulla carta è un successo numerico incontestabile in realtà nasconde più di un motivo di riflessione. Anzitutto obbliga a considerare il voto amministrativo per quello che è: cittadini che scelgono, spesso fuori da qualsiasi logica di schieramento, il candidato che meglio li rappresenta. Inoltre è indubbio che l'insofferenza nei confronti dei partiti tocca, anche se non abbatte, pure il Pd. Mentre premia le forze più estreme e in grado di cavalcare il malessere crescente. Per Bersani tutto questo sembra non esistere. Il segretario festeggia, sfida il Movimento 5 Stelle a confrontarsi sul terreno del lavoro, si augura che il centrodestra non scarichi le sue difficoltà sul governo e che, al tempo stesso, l'esecutivo «percepisca che il Paese è in una sofferenza acuta». Allo stesso tempo lancia il Pd, forte della vittoria, verso il voto del 2013. Che sarà ovviamente un successo. Basta non fare niente e restare in piedi. Sperando che tutti gli altri implodano.

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