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C'è Weimar dietro l'angolo

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Un seggio elettorale

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Quando gli elettori disertano le urne vuol dire che la democrazia è seriamente in pericolo. L'alto tasso di astensione registrato ieri, e quello non esaltante di quindici giorni fa, dovrebbe suonare come un campanello d'allarme non solo per i partiti ma anche per la società civile. Chiunque, a vario titolo, è interessato ad un ordinato svolgimento della vita associata e ad una soddisfacente dialettica civile dovrebbe preoccuparsi del pericoloso fenomeno che si è manifestato in quest'ultima tornata elettorale e considerarlo un segno eloquente di sfiducia nella classe politica da parte dei cittadini. I titolari di un diritto fondamentale, conquistato, come si sa, a prezzo di immani sacrifici, che rinunciano ad esercitarlo non sono nemici della democrazia, bensì le vittime della democrazia negata. E con ciò s'intende l'assenza di sintonia tra il corpo elettorale, le istituzioni e coloro che le rappresentano. Insomma, il corto circuito politico-culturale che offre il suo frutto più velenoso: il rifiuto della politica considerata dannosa da quanti si attendono da essa risposte ai numerosi problemi che li assediano. Di fronte all'impoliticità cui si sono condannati i partiti, incapaci ormai di intercettare i movimenti sociali ed i disagi ad essi connessi nel tempo della crisi che non è soltanto economico-finanziaria, ma più latamente culturale ed esistenziale, i cittadini reagiscono rifiutando la scheda elettorale ed esplicitano così la loro "inimicizia" a chi dovrebbe raccoglierne le istanze per giocarle politicamente nelle istituzioni rappresentative. Insomma, non riconoscono altro soggetto al di là di chi incarna le loro elementari insoddisfazioni, come è accaduto a Parma e non solo, e fa sentire la propria voce gonfia dei risentimenti che si sono addensati nel Paese reale che preferisce affidarsi ad improvvisati agitatori quando si reca a votare oppure se ne sta alla finestra tanto per vedere fino a che punto si spingerà il caos. Non è una situazione facilmente rimediabile da parte delle forze politiche ridottesi a simulacri del potere ed autoreferenziali al punto di non riconoscere il discredito che le circonda tanto da operare come se nulla stesse accadendo attorno ai Palazzi nei quali sono asserragliate. Non si rendono conto che con i loro sterili dibattiti su bizantinismi intorno ad improbabili leggi elettorali (modelli francese, spagnolo, tedesco, ispano-germanico e via girovagando) ed esoteriche ipotesi aggregative tra soggetti eterogenei, configurabili nella migliore delle ipotesi come cartelli di sfigati che tentano di mettersi insieme per non sparire, non guadagneranno un'oncia di considerazione nei cittadini. Questi, destinatari delle loro preoccupazioni - almeno così vorrebbero farci credere - svogliatamente ne osservano le disinvolte evoluzioni dialettiche e provano disgusto quando impudentemente asseverano che dei partiti non si può fare a meno in una democrazia. Ma chi non è d'accordo su una banalità di tal genere? Certo che sono indispensabili, ma se dovessero risultare perniciosi per il loro modo di fare, per le satrapie che hanno costituito, per le modalità partitocratiche con cui occupano lo Stato, le istituzioni pubbliche, i mezzi di informazione e s'ingeriscono non più soltanto nella pubblica amministrazione (come denunciava Minghetti nella seconda metà dell'Ottocento), ma nelle vite private dei cittadini con leggi sempre più invasive che minano caposaldi civili come il diritto alla privacy ed il segreto bancario, tanto per fare due esempi di moda? Ecco, sommariamente, perché gli elettori voltano le spalle ai partiti, agli oligarchi che ne fanno l'uso che vogliono (anche finanziariamente appropriandosi dei soldi dei contribuenti per scopi poco nobili). Una società nella quale la politica si eclissa, la partecipazione alle scelte è scadente o trascurabile, la passione civile sbiadisce è una società destinata all'estinzione. E se si pone mente al non irrilevante particolare che l'Italia sta precocemente invecchiando sotto tutti i punti di vista, come se si fosse rassegnata a non avere più un destino, si può dare torto a chi si tiene alla larga dal legittimare questa o quella forza con il proprio voto sapendo che prima o poi verrà tradito? Invece di indignarsi i partiti è su questo che dovrebbero riflettere. E, conseguentemente, riformarsi. Lo aspettiamo da un ventennio un gesto, sia pur minimo di resipiscenza, da coloro che si presentarono al debutto degli anni Novanta come innovatori. Sono mestamente invecchiati. Li vediamo sconcertati di fronte al mondo che cambia. Non parlano più alla gente, ma sempre e soltanto a qualcuno per tessere incomprensibili strategie nel nome di inevitabili magnifiche sorti e progressive, come diceva una certa sinistra. Ed i contenuti? E lo scopo? E la visione di una società, di uno Stato, di una comunità, di uno sviluppo accettabile? Dettagli. Come i voti che elezione dopo elezione si volatilizzano, ma che prima o poi si poseranno laddove potranno anche fare male. Come insegna la storia. Weimar è dietro l'angolo, insomma, almeno mi sembra.

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