Quattro milioni al voto Con l'incognita Grillo
Sonoi numeri dei ballottaggi che si svolgeranno oggi e domani in tutta Italia per scegliere i nuovi sindaci. Ma l'attenzione è rivolta principalmente a due città, Parma e Palermo: la prima per la possibile vittoria di un candidato di Grillo, Federico Pizzarotti, la seconda per il successo quasi scontato di Leoluca Orlando tornato a candidarsi contro il Pd vent'anni dopo aver amministrato la città. I Democratici, infatti, nelle primarie hanno scelto Fabrizio Ferrandelli che però nei voti insegue l'avversario: 17,3 per cento per lui, 47,4 per l'esponente dell'Italia dei Valori. Ma dopo il terremoto del primo turno che ha fatto crollare tutti i partiti il vero fenomeno politico è Beppe Grillo. Il Movimento cinque stelle va ai ballottaggi in cinque città, dopo aver già vinto nel piccolo Comune di Sarego nel vicentino. Ma il colpo che farebbe «sbancare» i grillini sarebbe la vittoria nel capoluogo emiliano. Dove il comico ligure venerdì sera ha fatto il suo comizio conclusivo attaccando tutti i partiti. «Parma aprirà qualche cosa nella storia di questo Paese. Potrebbe essere un inizio, la presa della Bastiglia – ha arringato dal palco – Questa gente deve andare a casa e non farsi mai più vedere in una funzione pubblica. Siamo alla fine. Spero in un trionfo e ne sono più che convinto. Grazie a chi ha contribuito a realizzare il sogno di mandarli via tutti». Intanto nell'ultimo giorno prima del ballottaggio non sono mancate le polemiche. Ieri, nel giorno in cui è imposto il silenzio elettorale, alcuni esponenti del centrodestra sono stati sorpresi a fare propaganda politica, nel centro di Piacenza, al candidato sindaco Andrea Paparo. Un gesto «esecrabile, inopportuno e sbagliato», secondo il segretario provinciale del Pd, Vittorio Silva, che ha annunciato l'intenzione di presentare un esposto alla Prefettura. «Non è stata violata alcuna regola - è stata la replica dell'entourage del candidato Paparo - Anche durante il primo turno il volantinaggio è stato eseguito nelle forme consentite». Ma passato l'esame dei ballottaggi i partiti dovranno fare i conti con i tanti problemi irrisolti che sono rimasti sul tappeto. E con quelli che proprio il voto ha fatto emergere. Iniziando dalla crisi economica che ancora strangola l'Italia e l'Europa. Mario Monti in questi giorni ha ripetuto di volere dalla politica un sostegno pieno, come all'inizio del governo, quando tutti avevano chiaro che si era in piena emergenza. Un'emergenza che è tutt'altro che finita, e che richiede - per il premier - la compattezza della maggioranza: un miraggio, nei giorni in cui il segretario del Pdl, Angelino Alfano, minaccia di non votare il fiscal compact e osteggia il disegno di legge anticorruzione alla Camera, e in cui il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, chiede di allentare «unilateralmente» i vincoli di bilancio che ostacolano la crescita. Unico, quest'ultimo, del trio «ABC» che non ha pranzato con il presidente del Consiglio prima della sua partenza per oltreoceano ma che potrebbe farlo dopo il voto. Per confrontarsi sul redde radiotenem atteso dopo i ballotaggi su riforme, nomine, politiche anticrisi. Delle nomine è presto detto: Agcom e Auhority sono, come il rinnovo del cda Rai, al primo posto nell'agenda degli atti dovuti da parte di Palazzo Chigi e Montecitorio. Da stabilire, invece, se come e quanto saranno determinanti le indicazioni delle segreterie dei partiti. Ridurre il finanziamento pubblico sarà la prima cosa che farà la Camera all'indomani del secondo turno di una tornata elettorale in cui è emerso un clamoroso voto di protesta contro le forze politiche. Martedì, infatti, la Camera inizierà l'esame del provvedimento che riduce i rimborsi elettorali e lo licenzierà in un paio di giorni: lo ostacolano soltanto Idv e Lega secondo cui i rimborsi vanno aboliti del tutto. Quindi sarà trasmesso al Senato dove dovrà farsi strada tra altri provvedimenti «caldi». A partire dalla riforma del lavoro del Ministro Fornero che arriverà in Aula mercoledì. Per arrivare alle riforme costituzionali che il presidente della commissione Affari Costituzionali del Senato, Carlo Vizzini, ha promesso pronte per l'Aula entro il 25. La materia però è complessa e lo spazio per le due identiche letture che la modifica della Costituzione richiede è davvero minimo. A una delle modifiche della Carta, la riduzione del numero dei parlamentari, è strettamente legata la riforma elettorale, da tutti auspicata per archiviare l'ormai famigerato «Porcellum». Le elezioni amministrative hanno congelato il tavolo dei tecnici di maggioranza che torneranno a riunirsi dopo i ballottaggi ma non prima di avere avuto dal Senato, come ha spiegato l'esponente del Pd Luciano Violante, almeno un orientamento sul numero dei parlamentari. Palazzo Madama dovrà anche esaminare il decreto sulla spending review con cui il governo ha nominato Enrico Bondi commissario straordinario. E proprio martedì Bondi dovrebbe indicare davanti alle Commissioni i primi provvedimenti con cui intende recuperare i 4,2 miliardi previsti per evitare l'aumento dell'Iva da ottobre. Sulla cura per contenere la spesa pubblica i partiti hanno già alzato la voce ma per lo meno l'obiettivo è condiviso. La vera incognita è rappresentata dalla ratifica del «fiscal compact» che tutti hanno chiesto che venga rivisto dall'Europa inserendo un chiaro riferimento alla crescita.