Passo indietro? Ammissioni di responsabilità sui soldi ai figli? Niente di tutto ci
Soloun raggiro ai danni di due ragazzi, Renzo e Riccardo, «entrati troppo giovani in politica», e uno Stato che vuole ostacolare la libertà della Padania. Umberto Bossi spiazza tutti e con poche frasi cancella una settimana di indiscrezioni. Anzi, una «settimana di merda», secondo una sua definizione. C'era attesa per le parole del Senatùr di ieri sera. Le prime ufficiali dopo l'avviso di garanzia notificatogli dalla Procura di Milano per truffa allo Stato. L'occasione era una cena elettorale a Lesa (Novara), sulla sponda piemontese del Lago Maggiore. Con lui il Governatore Cota, l'europarlamentare Borghezio e un alone di mistero: parlerà davvero l'Umberto? O forse si limiterà a testare l'umore della base con la sua semplice presenza? Il dubbio era lecito, perché si arrivava da giorni controversi. Appena ventiquattr'ore prima, dopo una riunione in via Bellerio con i triumviri Maroni, Calderoli e Dal Lago, erano filtrate voci su sue possibili ammissioni di colpe nell'affaire Belsito. «Ho autorizzato io alcune delle spese di Riccardo e Renzo», avrebbe detto Bossi, nonostante i nuovi leader del Carroccio avessero provato a far emergere in modo prepotente le responsabilità dei figli. Il finale era scontato:espulsione dalla Lega per chi ha tradito, qualsiasi sia il cognome che porta. Bossi aveva lasciato la riunione scuro in volto, in serata si era cominciato a parlare di una sua possibile uscita di scena definitiva. Assumersi le colpe per salvare in parte i rampolli, e poco importa se questo avrebbe comportato la rinuncia anche alla poltrona di presidente fondatore che il prossimo congresso di fine giugno dovrebbe assegnargli. Ieri mattina Bossi ha letto i giornali e ha fatto filtrare attraverso i suoi fedelissimi una prima reazione: «Non è assolutamente vero che mollo, io lascerò solo quando la Padania trionferà. Queste voci sono la prova provata che il mio addio farebbe felice il sistema e i suoi uomini». Il Senatùr non si arrende, quindi, benché Maroni in prima battuta non avesse fatto niente per smentire l'ipotesi. Anzi, l'Umberto conferma di essere al fianco del vecchio amico Bobo e approfitta della cena a Lesa per tracciare una linea difensiva per se stesso e per i figli. «È stata una settimana di merda - esordisce - ma non riusciranno a ucciderci. Ha ragione Maroni quando dice che la bufera passerà. Io lascerò solo dopo aver festeggiato in piazza la libertà della Padania». Il resto è un tentativo di rispondere ai riscontri dell'inchiesta. «I figli sono figli - dice - e da me non avranno nessuna pedata nel fondoschiena. La verità è che è stato un errore farli entrare in politica quando erano troppo giovani, quando si è facilmente raggirabili. La storia della paghetta di cinquemila euro al mese non è assolutamente vera». Per Bossi è tutto solo un «fumus persecutionis»: colpa dello Stato «che cerca di colpirci ma non ci fermerà», e colpa «del tipo strano che ci faceva da amministratore». Basterà la difesa a recuperare la fiducia dei militanti? La riprova, in fondo, non dovrebbe tardare. Al massimo un mese e mezzo. «Io presidente onorario al prossimo congresso? Se mi eleggeranno»...