Grillo ha perso un'occasione per tacere
di Francesco Damato Di fronte all’orribile e mortale attentato brindisino Beppe Grillo non si è trattenuto da un commento che ne segna il fallimento come comico e come politico. Come comico non credo proprio che egli sia riuscito ieri a far ridere qualcuno dei frequentatori del suo blog evocando la figura di Giulio Andreotti, peraltro appena tornato a casa, con i suoi 93 anni, dopo un ricovero in ospedale dove ha rischiato la morte. E ha strappato al buon Dio -questo sì, potrebbe farci sorridere con lo stesso Andreotti- un’altra «proroga». Che non è tuttavia la cosa alla quale Grillo ha voluto riferirsi scrivendo dell’attentato. Egli ha fatto il nome dell’ex presidente del Consiglio per riproporre a modo suo il tema delle «coincidenze». Alle quali «ho smesso di credere da tempo, da quando ho visto da bimbo Andreotti in tv», ha avuto il cattivo gusto di ghignare il comico. Per il quale Andreotti è naturalmente, e notoriamente per chi è abituato a sentire e a leggere Grillo da anni, l’espressione fisica e giudiziaria della commistione fra politica e mafia, anche per via dei processi subiti. Per quanto il senatore ne sia uscito assolto o, per gli anni più lontani, «soltanto» prescritto, come tiene sempre a ricordare il suo irriducibile accusatore togato, Giancarlo Caselli. È proprio con un riferimento esplicito alla mafia che il comico ha voluto concludere il suo commento all’attentato ad una scuola intitolata a Francesca Laura Morvillo, uccisa il 23 maggio di vent’anni fa a Capaci con il marito Giovanni Falcone. Di cui Cosa Nostra avrebbe potuto volersi «vendicare» di nuovo ieri per la forte azione di contrasto alla criminalità organizzata da lui condotta prima come magistrato e infine come collaboratore -non dimentichiamolo, anche se Grillo forse lo ha rimosso dai suoi ricordi- dell’ultimo governo guidato da Andreotti. Con il cui ministro della Giustizia Claudio Martelli, inutilmente prodigatosi, fra le obbiezioni dei comunisti e di Leoluca Orlando, per fargli conferire dal Consiglio Superiore della Magistratura la Procura nazionale antimafia, egli lavorava dal 1991 in veste di direttore generale degli affari penali. Come politico, o aspirante tale con il suo Movimento 5 Stelle, Grillo non ha saputo resistere alla peggiore delle tentazioni del mestiere, condivise purtroppo anche da molti inquirenti, di fronte a fatti orribili come quello di Brindisi: valutarne i vantaggi. Egli ha capito che per la sua drammaticità e per il conseguente ritorno dell’attenzione generale ai problemi reali e più urgenti del Paese- fra i quali non c’è certo quello di uno Stato peggiore della mafia, come lo ha rappresentato nei giorni scorsi nelle piazze d’Italia- l’attentato brindisino non può giovargli politicamente, a cominciare dai ballottaggi comunali di oggi e domani. E si è chiesto, allora, anche nel titolo del suo commento telematico, «cui prodest», a chi cioè possa giovare. Pronto, magari, a vedere domani sera, quando saranno noti i risultati del secondo turno delle elezioni amministrative, la mano o manona dei criminali fattisi orribilmente sentire a Brindisi dietro l’eventuale vittoria degli avversari del suo candidato sindaco di Parma. Del resto, si disse già per gli attentati stragisti di mafia del 1992 e 1993 che essi andavano interpretati contro «ogni cambiamento», come lo stesso Grillo ha tenuto ieri a ricordare e condividere scrivendo di Brindisi e delle sue «coincidenze». Egli oggi si considera appunto promessa e simbolo, insieme, del cambiamento. Non si capisce, in verità, che cosa potessero essere i cambiamenti da contrastare 20 anni fa con le stragi mafiose, visto che ci sono magistrati, e non solo magistrati, farneticamento sospettosi, anzi convinti, che la novità in arrivo si chiamasse allora Berlusconi, ma venisse favorita, e non combattuta, dalla mafia. Questo però è un ragionamento forse troppo complicato per un comico.