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Spread a 435, poi scende. Borse in rosso

Un operatore di borsa fotografato a Francoforte

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La dittatura dello spread, il differenziale di rendimento tra i titoli di stato italiani e i Bund tedeschi, non è finita. Su questa «distanza» si è giocato il futuro politico Silvio Berlusconi. E ora anche Mario Monti e il suo governo tecnico cominceranno a meditare. Nel momento peggiore della crisi politica e cioè agli inizi di novembre dello scorso anno, infatti, lo spread toccò la stratosferica quota di 553 punti. Ieri ha ampiamente superato il tetto di 430 punti, ha toccato 435, poi ha ripiegato e ha chiuso a 424. Sulla piattaforma Reuters, lo stesso valore si è attestato a 444 punti, dopo aver toccato un massimo di 451 punti. Si tratta di livelli che non si vedevano dallo scorso gennaio e che hanno portato il rendimento dei titoli decennali italiani al 5,69 per cento. Di nuovo a un passo da quella soglia del 6% indicata al tempo della prima crisi dello spread come il livello di allerta per la sostenibilità del debito italiano. Che nonostante i tagli, le tasse, e le promesse continua a crescere come d'incanto. Senza nessuna ragione plausibile. O quantomeno senza nessuna ragione evidente e trasparente. Sta di fatto che la nuova impennata dallo spread, ormai stabilmente piazzato sopra i 400 punti, è in parte figlia della discussione di un'uscita della Grecia dall'euro che non sembra più un tabù per le autorità europee e che ha gettato scompiglio sui mercati finanziari di mezzo mondo. Anche ieri il tributo pagato della borse europee all'incertezza è stato salato. Le piazze finanziarie europee hanno infatti bruciato 120 miliardi di controvalore. L'euro è andato giù e ha galleggiato sulla linea di 1,28 dollari mentre gli spread della Spagna sono andati sopra i 490 punti, pericolosamente vicini ai massimi storici. La giornata di ieri rappresentava la ripresa degli scambi dopo un weekend di paura, nel quale il caos politico greco ha reso sempre più vicine nuove elezioni a giugno che rischiano di trasformarsi in un referendum sull'euro. Un elemento fortemente destabilizzante da solo, ma che è diventato miscela esplosiva con l'aggiunta della sonora sconfitta della cancelliera Merkel in Nord Reno-Westfalia, che ha di fatto indebolito la svolta verso il rigore sancita dal «patto di bilancio» e ha dato voce ai partiti della spesa. Insieme al «buco» prodotto dalla banca d'affari Jp Morgan sui derivati che rischia di raggiungere i tre miliardi di dollari e la crisi bancaria spagnola, che resta nel mirino dei mercati nonostante massicci accantonamenti imposti alle banche. Al di là del tracollo delle borse e della ripresa degli spread, forse il dato più significativo è stato il calo dell'euro: la divisa unica è a 1,2825, ai minimi da gennaio. Un fatto che ha anche un lato positivo. La debolezza della divisa unica piace alle imprese esportatrici e a molti leader europei (il disappunto di Washington ne è la controprova), ma il calo dell'euro riflette anche le preoccupazioni per il futuro della moneta unica ora che si discute apertamente della possibilità di uscita di un membro del Club. Dato quasi per acquisito il default di Atene, in realtà lo spettro con cui ormai tutti fanno i conti sui mercati è il contagio: ci si chiede, se la Grecia uscisse davvero dall'euro (rischio concreto in caso di nuove elezioni che rischiano di punire ulteriormente i partiti pro-Europa), chi sarebbe il prossimo. E se l'Irlanda sembra al riparo dai mercati, sulla lista c'è il Portogallo e poi prima ancora dell'Italia la Spagna, bestia nera dei mercati perché si tratta di un «peso medio» dell'Eurozona che sarebbe ben più difficile salvare rispetto alla Grecia. In borsa l'indice Stoxx 600 delle piazze europee ha chiuso a -1,80% con Piazza Affari a -2,74% dopo aver ceduto oltre il 3,5% durante la seduta, peggiore fra le grandi d'Europa seguita appunto da Madrid (-2,66%). Londra (-1,97%), Parigi (-2,29%) e Francoforte (-1,94%). Sono andate a picco le banche, specie le casse spagnole (Bankia -8,7%) e l'olandese Ing (-5,7%). L'impasse greca ha offuscato il buon esito dell'asta italiana di ieri mattina, con cui il Tesoro italiano ha collocato 3,5 miliardi di Btp marzo 2015, raggiungendo il massimo dell'ammontare prefissato con un tasso in linea con quello di aprile (3,91% dal 3,89%). La domanda è stata pari a 1,52 volte l'importo offerto contro 1,43 dell'ultima asta. Dunque nonostante le turbolenze la carta italiana continua a essere sottoscritta dagli investitori. Lo spread cresce anche per la domanda di bund tedeschi, che nei momenti di panico sono considerati l'unico porto sicuro. Ieri i titoli tedeschi hanno raggiunto un minimo storico.

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