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Il teorico della riunificazione che predica bene e razzola male

Shauble

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«Ha quasi sempre fatto le cose giuste, ma con i modi sbagliati. Poteva essere un fuoriclasse, rischia di restare un eterno numero due». Il giudizio tagliente di Helmut Kohl su quello che nel 1990 era il suo ministro dell'Interno e principale collaboratore nella riunificazione delle due Germanie, il delfino per la successione alla Cancelleria e la guida della Cdu, fotografa da una parte l'involuzione del partito che - da Konrad Adenauer allo stesso Kohl - era stato il motore dell'unità e della solidarietà europea e oggi si trova a divorare quanto creato in decenni. Dall'altra parte dimostra come questi «nuovi panzer», questa generazione di tecnocrati che sacrificano tutto e tutti alla supremazia e agli interessi della Germania, questi Junkers che basano la lealtà alla causa non sui principi aristocratici come nella Prussia di inizio Novecento ma sul potere monetario, siano più divisi di quanto appare. L'ansia di Schauble di candidarsi alla presidenza dell'Eurogruppo, il comitato dei ministri finanziari dell'euro, una carica chiave per mettere d'accordo nordici e latini, francesi e tedeschi, e tenere buoni rapporti con la finanza anglosassone e il Fondo monetario, potrebbe non rivelarsi una passeggiata. Ce l'aveva candidato con notevole perfidia il lussemburghese Jean-Claude Junker, che l'Eurogruppo l'ha guidato per sette anni finché ha lasciato denunciando le pesanti interferenze dell'ex asse Merkel-Sarkozy. In un'intervista a Welt am Sonntag, quotidiano dell'establishment conservatore, Schauble si è subito detto «pronto a guidarlo», dimenticando quanto, specie oggi con l'ortodossia germanica sotto tiro in Europa, ogni ulteriore forma di espansionismo teutonico sia visto con sospetto, e le poltrone non siano più prede molto facili. Il primo sgambetto gli è arrivato dall'interno, dai socialdemocratici che hanno messo ko Angela Merkel nel NordReno Vestfalia: «Deve scegliere, se punta all'Eurogruppo lasci il governo». La tiepida difesa della Cancelliera, che già mesi fa, per rimpiazzare il dimissionario presidente federale Christian Wulff, aveva candidato Schauble per toglierselo dal governo, potrebbe fare il resto, e il capo dei falchi ci lascerebbe le penne. Perché Schauble ogni volta che apre bocca semina panico sui mercati, fa aumentare gli spread, terrorizza i paesi meno allineati. Ha in pratica già espulso la Grecia dall'euro, facendo un favore alle forze antisistema dai neocomunisti ai neonazisti. È stato il primo a bloccare la richiesta di François Hollande di rinegoziare il patto di bilancio europeo. Ancora Schauble aveva così salutato l'arrivo di Mario Monti a palazzo Chigi: «Lo stimo, ma un semplice cambio di personale non basta a convincere i mercati». All'inizio del 2012, quando il Fondo monetario guidato dalla ex collega francese Christine Lagarde, e Washington e Londra chiedevano con insistenza agli europei un aumento dei firewall, le munizioni finanziarie, lui gelò tutti: «Non c'è alcuna fretta». Il dogma di Schauble è basato sulla difesa del contribuente tedesco: «Non deve pagare i debiti altrui». Il discorso ha funzionato negli ultimi due anni consolidando intorno a Schauble l'alleanza di paesi nordici «virtuosi» dentro e fuori dall'euro, dall'Olanda alla Svezia. Finché qualcuno ha cominciato a farsi due conti scoprendo che la crisi greca, se risolta allora, sarebbe costata 50 miliardi di euro, adesso rischia di pesare su tutti quattro volte tanto. È il caso del governo olandese, ex alleato di ferro, che andrà alle elezioni anticipate a settembre. E anche all'interno la teoria dei debiti comincia a scricchiolare: Hannelore Kraft ha vinto nel NordReno-Vestfalia spiegando quanto sia più conveniente indebitarsi per cose come istruzione, tecnologia e benessere dei cittadini anziché rimetterci molti più soldi dopo. Schauble si è sempre opposto anche a un ruolo più attivo della Bce nel sostegno ai debiti pubblici, sostenendo che questo creava lassismo, inflazione e «azzardo morale». Peccato che si sia smentito in Germania. Dove la Bundesbank compra i titoli del Tesoro invenduti, consentendo a Berlino di finanziarsi a tassi sottozero. E il ministro di ferro ha appena detto che il governo può derogare dal tetto d'inflazione del 2 per cento chiesto ai partner europei. E ha incoraggiato le aziende a concedere sostanziosi aumenti retributivi, promettendo altrettanto agli statali: il contrario dei «compiti a casa» imposto a tutti noi. Schauble dice che questo è nell'interesse dell'Europa perché aiuta la ripresa. Per ora non ce ne siamo accorti. Ma c'è, nelle sua lunghissima carriera di politico - dove non manca uno scandalo per un finanziamento illecito di 100 mila marchi che gli costò la presidenza della Cdu - un precedente illuminante. Nel 1990-91, al fianco di Kohl, lavorò alla riunificazione tedesca, tra mille critiche interne ed esterne. Pagò anche duramente perché uno squilibrato gli sparò ad un raduno elettorale lasciandolo paralizzato alle gambe. Tenne quindi in carrozzella un memorabile discorso al Bundestag per convincere della necessità storica di riunire le due Germanie con il marco alla pari e di spostare la capitale da Bonn e Berlino. Una mirabile operazione: sennonché uno studio della Freie Universitaat Berlin ne ha quantificato i costi in 1.500 miliardi di euro, scaricati sul resto d'Europa. Mentre Der Spiegel ha pubblicato un carteggio riservato tra Kohl e François Mitterrand dal quale risulta che i tassi di cambio dell'euro furono la contropartita della Francia per non ostacolare la super-Germania. Dal che si dimostra come le l'Europa, anche nei momenti più alti, abbia sempre avuto un lato opaco di interessi economici non detti, in contrasto con la democrazia, e Schauble vi abbia spesso giocato un ruolo. Proprio lo Spiegel, il più diffuso settimanale tedesco, è ora una sorta di megafono della linea del «tedesco che paga per tutti», e per questo il ministro lo considera essenziale nella strategia comunicativa. Come su altri fronti e per altri lettori la Suddeutsche Zeitung di Monaco di Baviera, e la Bild. «I greci hanno problemi? Vendano il Partenone e le isolette» titolò il tabloid di Axel Springer. «Akropolis adieu!» saluta l'ultima copertina dello Spiegel. «Le elezioni greche non cambiano i termini dell'accordo con l'Europa» ha detto ieri Schauble. «Non vedo ricette facili per la Grecia». Nello stesso momento la Merkel dichiarava: «La cosa migliore è che Atene resti nell'euro». Il pensiero unico non tiene più. E il ministro d'acciaio rischia di finire nuovamente in timeout

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