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Il Doktor Nein della Bundesbank che tiene sotto il tallone l'Europa

Il presidente della Bundesbank Jens Weidmann

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In un lungo articolo a lui dedicato, lo scorso 30 aprile, il Bloomberg Business Week l'ha ribattezzato Doktor Nein, il dottor No. E i suoi no contano. Perché tra i signori che governano l'Europa monetaria (i 6 membri del Comitato esecutivo della Bce più i 17 banchieri centrali dell'Eurozona) il peso del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, è secondo solo a quello del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi. Ecco perché le sue cannonate fanno male. Le ultime, il panzer Weidmann le ha sparate proprio mentre in Grecia nessun partito è riuscito a trovare la formula per far nascere un nuovo governo, e nuove elezioni incombono, in Spagna il sistema creditizio è prossimo al collasso, e tra Francia e Germania le tensioni sembrano solo all'inizio. In questo clima da armageddon europeo, il numero uno della Buba si è scagliato contro il presidente eletto francese Francois Hollande: sarebbe pericoloso toccare lo statuto della Bce o il Fiscal Compact europeo varato dall'Unione, ha tuonato. E in un'intervista concessa al quotidiano Süddeutsche Zeitung, Weidmann ha messo in guardia anche la Grecia dal non rispettare gli accordi sottoscritti con Unione europea e Fondo Monetario, pena il blocco degli aiuti finanziari collegati a tale intesa. La Bce – ha detto con chiaro riferimento alle richieste di maggior sostegno alla crescita da parte di Hollande – dovrebbe attenersi al suo mandato di conservare la stabilità dei prezzi e sarebbe «pericoloso» cambiare il mandato dell'istituto di Francoforte. Quanto alla Grecia, Weidmann ha avuto parole altrettanto chiare: «Se Atene non rispetta la parola data, è una decisione democratica. Il risultato è che non ci sono basi per ulteriori aiuti finanziari. Anche i Paesi donatori devono giustificarsi davanti alla loro popolazione». E una possibile uscita di Atene dall'euro? «Per la Grecia le conseguenze sarebbero molto più gravi che per il resto dell'eurozona». Altro che banchiere centrale, Weidmann parla e usa toni da statista, detta la linea ai governi. Con un pressing impensabile per qualsiasi altro suo collega dell'eurozona. È un po' come se il nostro governatore Ignazio Visco, mettesse bocca nell'agenda di Monti declamando ricette rigoriste dal pulpito di Bankitalia. Herr Weidmann può permettersi di parlare così all'Europa? Il primo Maggio del 2011 a soli 42 anni (il più giovane governatore nella storia tedesca) «Dr Nein» è stato imposto dalla Cancelliera come successore di Axel Weber, dopo che questi si era dimesso anche per la sua mancata elezione a governatore della Bce. La forza della Bundesbank risiede nella sua indipendenza dalla politica ma Weidmann è stato appunto dal 2006 il consigliere economico di Frau Merkel. Fin dallla sua elezione gli osservatori internazionali si sono chiesti se Weidmann avrebbe avuto la mente libera per impostare alla banca centrale politiche magari contrastanti con quelle che egli stesso aveva disegnato quando stava nella cancelleria di Berlino. E soprattutto se avrebbe avuto la forza di dire no, se necessario, alla donna che ha accompagnato ai vertici europei e a quelli del G8 e del G20 e alla quale ha suggerito le strategie. Se pur con un ruolo da tecnico. Nato a Solingen, in Renania, nel 1968, sposato, due figli, Weidmann ha il marchio di fabbrica delle élite pubbliche tedesche di oggi. È cresciuto nella Germania post-Muro, in un Paese che in questi ultimi due decenni ha adottato l'euro, ma anche ha avuto posizioni internazionali sempre più assertive. Si è laureato con il massimo dei voti in Germania, poi ha studiato in Francia e tornato in patria ha ottenuto il dottorato con una tesi sulla politica monetaria (uno dei suoi professori è stato lo stesso Weber). Dal 1997 è stato per due anni al Fondo monetario internazionale, nel 2003 è diventato segretario generale del Consiglio degli esperti economici, dove è stato uno degli ispiratori delle riforme liberali del governo Schröder. L'arrivo alla Banca centrale tedesca è per lui un ritorno: dal 2003 al 2006 ha infatti guidato il dipartimento di analisi della politica monetaria della Bundesbank. Poi, gli anni da sherpa della Merkel che avrebbe aspettato volentieri ancora un po' prima di nominarlo alla guida della banca centrale (c'era l'idea di lasciarlo nel consiglio della banca per qualche tempo). Anche perché la Bundesbank di recente è già stata al centro di forti polemiche: nel 2004, l'allora presidente Ernst Welteke si dovette dimettere perché aveva trascorso con la famiglia quattro notti in un albergo di lusso di Berlino ospite della Dresdner Bank; nel2010 un consigliere, Thilo Sarrazin, si dimise in seguito a sue affermazioni sugli immigrati da molti considerate razziste. Le dimissioni inattese di Weber hanno poi accelerato l'ascesa di Weidmann. La sua scelta è comunque apparsa una nomina altamente politica. «Non è un carro armato tedesco. È più simile a un alto funzionario francese uscito da una grande école. È uno che si prenderà le sue responsabilità. Ma non è neppure uno che premerà al di là dei limiti per ottenere quello che vuole. È diverso dal suo predecessore, Axel Weber, se non nella sostanza almeno nello stile», ha detto di lui Manfred Neumann, uno dei più noti rappresentanti della scuola monetarista tedesca. Insomma, sempre attento all'inflazione ma meno dogmatico. «Weidmann appartiene comunque a quella schiera di tedeschi che uno straniero deve conquistare per ottenere la loro fiducia» racconta chi ha avuto l'occasione di incontrarlo. I più critici fanno notare che il pragmatismo è una qualità, ma diventa un difetto quando è fine a se stesso. E soprattutto se si trasforma in un carrarmato tecnocratico che sotto la bandiera del rigore schiaccia il voto dei popoli.

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