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Ma il risveglio per i francesi sarà duro

Hollande celebra la vittoria

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La vittoria di François Hollande alle elezioni presidenziali francesi apre un nuovo scenario a livello europeo, dove anni di austerità a tappe forzate, imposta da una Germania angosciata dalla prospettiva di diventare l'ufficiale pagatore di un intero continente, stanno sfiancando la popolazione e rischiano di indebolire la tenuta democratica, come dimostra la discesa della Grecia agli inferi di estremismi ed ingovernabilità. Ma Hollande non sarà quella caricatura di socialista mangiatore di conti pubblici che di lui è stata data soprattutto dalla grande stampa finanziaria anglosassone né, malgrado le suggestioni storiche, potrà permettersi di seguire le orme del Mitterrand del 1981. Il quale, appena eletto, proclamò in modo molto francese «l'espansione in un solo paese», causando fughe di capitali e pressione sul franco che lo costrinsero a battere rapidamente in ritirata. Hollande ha peraltro già provveduto a precisare la propria visione fiscale: pareggio di bilancio per la Francia rinviato di un anno, al 2017, e rigoroso controllo delle dinamiche di spesa: durante l'unico faccia a faccia televisivo tra i due candidati, Hollande si è impegnato a mantenere una crescita media della spesa pubblica francese all'1 per cento annuo, la metà di quanto fatto da Sarkozy. Hollande non vuole abbattere il Fiscal compact ma integrarlo con un «patto di crescita», il che di fatto riporterebbe in vita il Patto di stabilità e crescita europeo che la Germania aveva di fatto rottamato nel 2003, durante la grande ristrutturazione dell'economia tedesca. Il fatto che, a quasi 10 anni di distanza, l'Europa non trovi di meglio che tornare alla casella di partenza nel mezzo di una stretta fiscale che rischia di distruggerla la dice lunga sui circoli viziosi che una costruzione ampiamente disfunzionale quale quella comunitaria ha finora prodotto. Il problema di Hollande sarà soprattutto quello di una Francia che ha perso contatto con il passo di carica dell'economia tedesca: pressione fiscale in crescita, costo del lavoro in costante divaricazione rispetto alla Germania, un welfare ormai troppo costoso per la scarsa capacità di crescita dell'economia francese, minata da una perdita di competitività ormai palese e che si riflette in un costante deterioramento del saldo commerciale. Dalla nascita della Ue, la Francia ha sempre cercato di imbrigliare la Germania, ancorandola all'Europa per evitare pericolose distrazioni verso Est, ma ciò è stato possibile soprattutto perché le economie dei due Paesi non mostravano rilevanti divergenze. Ora la situazione è drammaticamente cambiata. Anche una eventuale «alleanza» francese con altri Paesi in grave affanno, tra cui il nostro, non potrà prescindere dal fatto che serve comunque una stagione di riforme profonde allo stato sociale ed alla macchina pubblica. Il fatto che ciò avvenga in contemporanea ad una crisi fiscale significa che per i francesi il risveglio sarà comunque molto ruvido. Nell'immediato, quindi, è fondamentale che Hollande possa avere la funzione di catalizzatore per ottenere il consenso tedesco ad un rallentamento del passo di consolidamento fiscale e per giungere ad una iniziativa di creazione di domanda per investimenti infrastrutturali comunitari, ma questa dovrà essere la condizione per proseguire ed accelerare le riforme di struttura in tutta Europa, non per tornare ad una quotidianità che sarebbe solo presagio di nuovi e maggiori problemi. Considerazioni valide massimamente per il nostro Paese che, quando avrà auspicabilmente superato la fase acuta dell'emergenza, dovrà decidere come rifondarsi. Quello che vediamo nel dibattito politico domestico non lascia sperare nulla di buono, però. In questo momento sarebbe meglio evitare di cercare di autonominarsi eredi ed amici di Hollande, o di crederlo il Che Guevara che ripudierà il debito, e lavorare sulla realtà. Ammesso di esserne capaci.

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