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La caduta degli dei: la Lega perde anche il feudo dei Bossi

Umberto Bossi

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Persa Cassano Magnago, paese natale di Umberto Bossi; persa Mozzo dove vive Roberto Calderoli; persa Sarego, sede del «parlamento padano»; persa la maggior parte dei «feudi» del carroccio in Lombardia. Più che un cedimento ha l'aria di una «caduta degli dei». La geografia dell'«universo padano» si è capovolta. Resiste soltanto, e con un successo personale nettissimo di Flavio Tosi, la città di Verona. Il bilancio della Lega Nord alle amministrative è negativo, anche se i dirigenti lumbard provano ad ammortizzare un pò il colpo. Roberto Maroni è comunque ottimista: «Nonostante tutto - dice l'ex ministro - non solo la Lega sopravvive ma ha avuto successi anche clamorosi come a Verona». Forse non a Verona, nuova capitale leghista, ma la debacle c'è stata. E non poteva non essere così. Sicuramente nei piani alti del movimento ci si attendeva questo risultato; anzi, c'era il timore che le cose andassero peggio. Manuela Dal Lago candidamente lo ammette: «Complessivamente - dice - è andata meglio di quello che si poteva ritenere». Il Carroccio, d'altronde, paga gli scandali sulla gestione dei fondi di partito e, non da ultime, le divisioni interne. Restano da capire le cause della flessione leghista. Al momento, però, nel partito sembra ci sia più interesse nell'addebitare ai propri nemici interni le responsabilità della debacle. Roberto Calderoli se la prende con «i leghisti o i presunti tali»: «Quando dividono il movimento - spiega - questo è il risultato inevitabile». È un accenno anche a quelle liste civiche e autonomiste che hanno eroso qualche voto alla Lega. Ma certo non possono giustificare da sole il calo di consensi. Umberto Bossi tace. Il senatur, presente in via Bellerio con tutto lo stato maggiore del partito, decide di non parlare. La vittoria di Tosi appare una sua sconfitta. E proprio il sindaco di Verona invita Bossi a non candidarsi per la segreteria della Lega al congresso federale di fine giugno. Intanto, Roberto Maroni canta vittoria e guarda proprio al congresso. La sua linea, quella di sostenere il «ribelle» Flavio Tosi e rompere l'alleanza con il Pdl, ha vinto. Quantomeno a Verona. Il sindaco maroniano sfiora il 60% e passa al primo turno. La sua lista civica ottiene quasi il 40%, la Lega poco sotto il 10% ma dietro il Pd che è al 15%. Proprio quest'ultimo dato crea qualche malumore nel partito che non vede di buon occhio il personalismo di Tosi. La vittoria di Verona permette alla Lega di respirare. Per la prima volta nella storia del Carroccio, si vedono i dirigenti leghisti scendere subito dopo le proiezioni in sala stampa per le dichiarazioni. I volti appaiono rilassati. «Il successo di Verona può rappresentare una fase nuova», chiosa Maroni che difende la scelta di «andare da soli» e rinvia la discussione sulla questione al congresso. «Ora si apre una fase nuova». Opposta la lettura dei cerchisti che reputano fallimentare la scelta di andare da soli e citano le sconfitte lombarde di Lissone, Cesano Maderno, Lesmo e Monza. Oltre a quelle in Liguria. I maroniani, d'altronde, imputano tutte le colpe agli scandali dei fondi gestiti da Belsito. «Molti elettori non sono venuti a votarci e li comprendo - spiega Matteo Salvini - dopo le storie di diamanti, lingotti d'oro e lauree albanesi». «Quanto alle alleanze future saranno i militanti a decidere - conclude l'europarlamentare leghista - A occhio, noi alleanze con chi sostiene questo governo non vogliamo farne. Meglio soli che male accompagnati almeno fino a che Pd e Pdl appoggeranno Monti. Ma abbiamo i congressi: i militanti voteranno e decideranno con chi andremo e per fare cosa».

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