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Per capire l'Europa non serve Pericle

Grecia al voto

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Sulla presente crisi, non soltanto monetaria, dell'Europa, ci è appena arrivata, dai Campi Elisi, la seguente letterina di Platone. Carissimi europei, mi è stato appena detto che alcuni dei vostri più dotti pensatori e osservatori si stanno spesso chiedendo che cosa un antico greco potrebbe pensare dell'inquietante spettacolo offerto dalle convulsioni economiche, politiche e sociali che stanno squassando il vostro continente. E alcuni di loro si sono detti convinti sull'argomento sarebbe interessante interrogare il celeberrimo Pericle, ossia l'uomo, che essendo passato alla storia come la massima espressione della democrazia ateniese – che per molti di voi sarebbe, se non la mamma dello spirito europeo, almeno una delle sue prime nutrici – sembrerebbe particolarmente indicato, più di ogni altro mio antico concittadino, a esprimere un giudizio sulle doglie dell'Europa di oggi. Ma io non sono per nulla d'accordo. Quel Pericle, proprio a causa della sua candida fede nella democrazia, è lo spirito meno indicato per capire l'origine e la natura delle vostre attuali angustie. Mi sembra infatti evidente che per discutere questo argomento non ci  voglia affatto un fan della democrazia, quale era appunto Pericle, ma un suo dichiarato nemico, quale mi onoro tuttora di essere io.  Da queste mie parole si può facilmente dedurre che io, o meglio la mia animella, che da venticinque secoli se la spassa nei Campi Elisi, dove dimorano dopo la morte le anime di coloro che furono amati dagli dèi, è perfettamente consapevole del fatto che non poche grandi menti europee degli ultimi secoli mi hanno accusato di non amare la libertà. In tempi abbastanza recenti il rimbrotto mi è stato fra l'altro rivolto, proprio in Italia, da un filosofo votatosi alla politica, il professor Marcello Pera, che rilanciando un'idea di un suo insigne maestro, il filosofo austriaco Karl Popper, mi ha definito un nemico della cosiddetta «società aperta». Ma l'accusa mi era stata già rivolta da altri e più illustri studiosi, fra i quali un grandissimo storico svizzero, Jacob Burckhardt, che un secolo e mezzo fa, in certe sue lezioni sulla storia della civiltà greca, derise il mio pensiero politico con feroce ma flemmatico sarcasmo. Tutto ciò prova, naturalmente, che della cosa si può discutere. Indiscutibile, invece, è che io, anche se amassi la libertà, non, potrei in nessun modo amare l'Europa di oggi. Giacchè nessun luogo reale o immaginario, storico o fantastico, attuale o virtuale è oggi più lontano della vostra Europa della mia famosa "città ideale". Che descrissi, com'è noto, ben due volte: da giovane nella Repubblica e da vecchio nelle Leggi. Due versioni di ognuna delle quali sarebbe forse ingiusto insinuare che esprima gusti più o meno totalitari dell'altra. Ma che sono certamente equipollenti per la loro assoluta, rigorosa, irreprensibile afflato antieuropeo.  Noti sono i requisiti della prima: comunanza dei beni e delle donne, governo dei filosofi, scuola di stato, i classici privati delle parti troppo fantasiose, anche Omero censurato, poesia musica e teatro controllati dal governo, dunque niente flauti, tamburelli, ritmi eccitanti, canzonette voluttuose, balli sfrenati e farse licenziose ma sempre e soltanto roba pacata, nobile, maestosa, solenne, istruttiva, edificante e soprattutto marziale, tipo inni sacri, marce patriottiche, festival pedagogici e virtuosi girotondi. Trattasi insomma di un posticino severamente precluso alla fiaba, a Pulcinella, alla tarantella e al Rock and Roll.  Ancor più inflessibilmente antieuropei sono però i principi ispiratori della città ideale che descrissi nelle mie Leggi. Il primo è l'idea che lo stato dovrebbe acciuffare i fanciulli quando puzzano ancora di latte per sottrarli in tempo alla funesta influenza di tutte quelle donnette più o meno ignoranti (mamme, nonne, nutrici, cameriere, sorelline) che ne guastano l'anima per sempre popolandola di Cenerentole, belle addormentate nei boschi, principesse sul pisello, orchi, streghe e principi azzurri. Il secondo è il divieto di ridere troppo, da imporre a tutti indistintamente, maschi e femmine, ricchi e poveri, vecchi e piccini, e innanzitutto agli dèi, che secondo me, come sapete, dovrebbero smetterla di sghignazzare, come finora hanno sempre fatto, davanti alle sventure dei mortali. Il terzo infine riguarda l'ubicazione della città, che io raccomandai di edificare il più lontano possibile dal mare. Dunque niente porti, navi, traffici, viaggiatori, marinai, pescatori, angiporti, puttane, losche locande,  taverne equivoche, notizie dall'estero, affari, contrabbando, prodotti forestieri, costumi e religioni di altri mondi, musiche e balli esotici, zuppe di pesce, zuppe razziali, zuppe culturali e così via mischiando, impasticciando e intrugliando.  Da questa mia idea di città ognuno di voi può farsi in quattro e quattr'otto un'idea di tutte le altre mie idee. Potrà inoltre dedurne che purtroppo la vostra Europa è ormai diventata, da ogni punto di vista – sociale, politico, culturale – la più radicale negazione dei principi che ispirarono la mia severa e un pochettino lugubre utopia. E soprattutto sarà costretto a concludere che la principale delle tante cause di tutti i disastri che si sono ultimamente abbattuti sui vostri paesi, ma che, naturalmente, vi sonnecchiavano già da un bel pezzo, è in effetti proprio l'aver fatto del vostro continente una sola immensa città di mare, esposta a tutti i possibili influssi e contagi del mondo, vale a dire una sterminata "società aperta", in tutto simile a quella vagheggiata dal professor Popper, insomma l'esatto contrario della mia "città ideale". E adesso, se volete sentire un parere un po' diverso dal mio, e magari più conforme ai vostri gusti di smarriti e corrotti abitanti di un'Europa alla quale è passata da molti secoli la voglia di assomigliare alla sobria e austera ma chiusissima città antimarinaresca, che sognai quando era in vita, e continuo a sognare anche quassù, rivolgetevi pure al signor Pericle. Confrontando il suo giudizio al mio scoprirete che noi greci, avendo espresso in politica due concezioni assolutamente antitetiche, siamo veramente gli inventori della vostra Europa, questa vecchia fanciulla ancora incerta fra società "chiusa" e "aperta".

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