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Gianni Di Capua Sono quasi 10 milioni (9.850.802) i greci che oggi potranno recarsi alle urne per decidere il destino del loro Paese e, in parte, dell'Europa e dell'euro.

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Anchese forse sarebbe meglio dire a Berlino. Il voto di Atene e di Parigi, infatti, quasi sicuramente modificherà i rapporti di forza all'interno dell'Unione e la Germania, principale sostenitrice di una politica fondata sul rigore, potrebbe perdere la propria centralità. Di certo, se in Francia il socialista Hollande sembra ad un passo dalla vittoria, in Grecia a regnare è l'incertezza. Secondo fonti concordanti dei due maggiori partiti, i conservatori della Nea Dimokratia (Nd) guidati da Antonis Samaras e i socialisti del Pasok di Evanghelos Venizelos, circa sette greci su dieci non rispondono ai sondaggi. Segnale evidente della rabbia e della frustrazione con cui i cittadini vivono questa tornata elettorale. I dati economici segnalano una disoccupazione al 21,8 % e di un debito che, prima di ricevere gli aiuti dell'Ue e del Fmi, era pari al 170% in rapporto al Pil. Non solo, ma l'aumento delle tasse introdotto per rispondere alle richieste europee, ha impoverito la classe media e creato all'interno della società un forte sentimento antirigorista. Così, a farla da padrone, dovrebbe essere il voto di protesta. Le ultime rilevazioni ufficiali danno in vantaggio Nd con una percentuale intorno al 27% in calo di 6,5 punti rispetto alle Politiche del 2009. Dovrebbe andare peggio al Pasok che tre anni fa vinse con il 44% e ora dovrebbe attestarsi sotto il 20%. Questo significa che i due partiti maggiori, entrambi favorevole alla permanenza della Grecia nell'Unione, otterrebbero insieme meno del 50% dei consensi. In ascesa, invece, il Partito comunista di Grecia (KKE) che spinge per l'uscita dall'eurozona e dovrebbe salire dal 7,54% del 2009 al 10,6%. E anche il Syriza, altro partito di sinistra che chiede di rimanere in Europa ma senza assumersi gli oneri legati ai due memorandum siglati, dovrebbe crescere passando dal 4,6% al 9%. In calo il Laos, partito di estrema destra che ha fatto parte del governo di transizione e ha votato a favore di entrambi i memorandum, che dovrebbe arrivare al 4% (nel 2009 era al 5,63%). Mentre la formazione di ispirazione neonazista Chrysi Avgi viene data al 5,7%. Al di là dei numeri lo scenario che si prospetta è quello di una grande frammentazione del Parlamento con molti partiti in grado di superare la soglia del 3% (secondo le stime dovrebbero essere 10 sui 32 in corsa). Ed è indubbio che a risentirne sarà la possibilità di costruire una maggioranza stabile. L'ipotesi più plausibile, e a quanto pare anche la più gradita dai cittadini, sembra essere quella di una «grande coalizione» tra Nd e Pasok. Anche se Samaras ha già bocciato questa ipotesi. Se non si dovesse arrivare ad una soluzione entro sei giorni dall'annuncio dei dati ufficiali, la Grecia tornerà alle urne nel giro di un mese. Secondo il New York Times banche e hedge found stavolta scommettono sulla sopravvivenza del Paese e non sul suo fallimento o sull'uscita dall'euro, per questo stanno acquistando titoli greci. Stamattina i seggi apriranno alle 7 (le 6 in Italia), chiuderanno alle 19. Poi si saprà la verità.

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