«Se lo Stato continua a non pagare la situazione diventerà drammatica»
Perchéuno Stato che pretende il pagamento puntuale delle imposte non può essere allo stesso tempo anche un fornitore che non paga i suoi debiti alle imprese. Mario Monti, però, ha liquidato la proposta fatta dal Pdl bollandola prima con un poco diplomatico «idea poco seria», poi giustificando il suo no con l'annuncio di lavorare a una soluzione a livello europeo del problema. Il Pdl, comunque, indietro non torna. E oggi presenta alla stampa il disegno di legge che prevede proprio la compensazione. «È un meccanismo che si può tranquillamente mettere in campo – spiega il senatore Andrea Augello che è tra coloro che stanno lavorando al testo – naturalmente stabilendo dei limiti. È chiaro che nessuno di noi ha mai pensato che possa diventare il normale sistema di pagamento. Sarebbe una assurdità. Però ora è necessario in qualche modo ridare fiato a quelle centinaia di imprese che rischiano seriamente di fallire. E la compensazione è una soluzione ragionevole». Mario Monti però è stato netto nella bocciatura. «Il premier ha sbagliato. Perché se la Pubblica amministrazione non inizia a pagare i fornitori privati rischiamo di trovarci davanti a scenari davvero drammatici». L'obiezione è che lo Stato si ritroverebbe però a fare a meno di entrate certe». «È un ragionamento che non regge. Prima di tutto perché la compensazione deve riguardare i crediti dell'anno di esercizio corrente. E poi è una questione di giustizia. Le aziende oggi aspettano anche due anni prima di essere pagate. Così finiscono per chiudere. E uno Stato che sostiene che il miglior modo di agire è quello di far fallire gli imprenditori si mette sullo stesso piano di chi pretende di non pagare l'Imu». Ma il problema dei pagamenti in ritardo da parte della pubblica amministrazione non nasce oggi. Come mai adesso è diventato così urgente? «Perché ci sono due fattori che hanno fatto precipitare la situazione. Il primo è la crisi, che ha bloccato anche il mercato dei privati con cui le aziende in qualche modo riuscivano a coprire i soldi che non arrivavano dallo Stato. Questo ha reso gli imprenditori più deboli e quindi con meno possibilità di ottenere aiuti dalle banche. Il secondo riguarda proprio gli istituti di credito che non vogliono prendere rischi perché hanno poca liquidità. Le due cose insieme costituiscono una miscela esplosiva. Che apre le porte a un mercato formidabile e pericolosissimo: nasceranno società di recupero crediti nei confronti della pubblica amministrazione». Ma già oggi non ci sono le banche che comprano i crediti degli imprenditori e poi si rivalgono sullo Stato? «Sì ma visto che hanno poca liquidità è un canale che si è bloccato. Oggi chi vuole può acquistare un credito a un tasso del 4,5 per cento, aspettare 60 giorni e poi applicare allo Stato gli interessi comunitari del 7 per cento. Se si tratta di un bene deperibile si può arrivare addirittura al 10. Se questo meccanismo prende piede è prevedibile che tutto il taglio alla spending review se ne vada per coprire la fatturazione degli interessi. Ecco perché è una follia non intervenire subito».