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Juncker lascia. Colpa di Francia e Germania

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Il presidente dell'Eurogruppo critica le ingerenze di Berlino e Parigi nella gestione della crisi

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a.Si sentono i soli membri dell'Unione». A pronunciare queste parole, che in molti considerano ormai un assunto, non è stato un cittadino qualunque ma il presidente dell'Eurogruppo, il club dei paesi del Vecchio Continente che adotta l'euro, e cioè il lussemburghese Jean Claude Juncker. Che dopo aver confermato di voler lasciare la poltrona a luglio, si è tolto più che un sassolino un macigno dalla scarpe. Il motivo scatenante delle dimissioni è da ritrovare nelle scelte franco-tedesche che hanno di fatto schiacciato la discussione tra i paesi Ue. Nessuna condivisione è stata possibile perché l'asse Merkozy ha dominato e piegato le istanze della maggioranza. Così ecco spiegata quella «stanchezza» del mandato, di cui andava parlando da mesi il presidente Juncker. Così quando Spiegel, ieri ad Amburgo, gli ha chiesto se sulla decisione avessero inciso le troppe interferenze di Berlino e Parigi, la risposta è stata un secco «sì». Juncker ha però anche aggiunto di voler dare pieno sostegno alla possibile successione del tedesco Wolfgang Schaeuble, il severo ministro delle Finanze della cancelliera Angela Merkel. Gli strali del lussemburghese sembrano dunque più indirizzati verso Parigi. E non sono esattamente un aiuto per il traballante titolare dell'Eliseo: dal momento che Nicolas Sarkozy combatte per restare alla presidenza, rischiando di perdere il prossimo 6 maggio il ballottaggio contro il socialista Francois Hollande, in vantaggio al primo turno. Secondo alcune ricostruzioni però l'entrata a gamba tesa celerebbe un intento più sottile. L'appoggio a una candidato considerato il falco del rigore europeo, in realtà ne brucia la candidatura. E fa saltare il banco alla linea della Merkel e della Bundesbank che con la presidenza a Schaueble avrebbero chiuso il cerchio del comando della politica monetaria in Europa. Con Sarkozy indebolito, Monti senza più il consenso dei primi giorni di dicembre in patria, Draghi accerchiato alla Bce, la Germania avrebbe continuato a dettare la linea politica alle istituzioni europee. Difficile far accettare al falco Schaueble politiche di allentamento monetario o maxi aste di liquidità. O ancora piani di crescita finanziati con debito o eurobond. Lo strappo di Juncker rimette tutto in gioco. E non è improbabile che la prima conseguenza economica che scaturirà dal fatto di aver bruciato il ministro tedesco, insieme al preventivato indebolimento della Merkel nei prossimi passaggi elettorali, sia l'accettazione a livello comunitario di un piano per la svalutazione controllata dell'euro verso la parità contro il dollaro. Unico mossa concepibile nel momento di crisi che vive l'Europa per rilanciare l'economia attraverso le esportazioni. Con un euro meno forte, infatti, le merci targate Ue sono più competitive e attraenti sui mercati internazionali. Sono solo ipotesi ma il tempo per scoprire se ciò corrisponde a realtà è breve. Juncker lascerà a luglio la presidenza dell'eurogruppo. Schaeuble, della cui possibile candidatura si era appreso a marzo da indiscrezioni di stampa mai smentite, dopo un rifiuto del premier italiano Mario Monti e del collega finlandese Jyrki Katainen, è l'uomo giusto secondo chi gli passa il testimone. «Ha requisiti eccezionali - ha detto di lui Juncker - per un ruolo che richiede una grande capacità di ascoltare gli altri». Intanto ora la candidatura del tedesco è ufficiale. Ma conoscendo le sue idee rigoriste il problema è capire quale sostegno avrà. Risposta possibile: poco. Dunque Merkel ha perso la sua personale terza guerra mondiale.

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