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Il Paese paga la totale assenza di speranze

Il premier Mario Monti

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A guardare il documento di programmazione finanziaria che il Governo ha presentato alla Camera per il triennio 2013-2015 c'è davvero da rabbrividire. Da un lato chiare e forti reticenze, per non dire falsità, sui risultati conseguibili sul terreno della finanza pubblica e dall'altro una striminzita previsione di crescita che non lascia presagire nulla di buono. Sul terreno della finanza pubblica, infatti, le previsioni di oggi già scalzano quelle fatte appena tre mesi fa (dicembre 2011). Ieri il governo prevedeva per il 2012 una recessione piccola piccola pari a -0,4% del Pil mentre oggi la cifra è a -1,2% del Pil prevedendo addirittura una piccola crescita ( + 0,5% del Pil) nel 2013. Spiace dirlo ma si mentiva ieri e si mente oggi e quel che più sconcerta è il silenzio complice del Parlamento e della sua transitoria maggioranza. Come è noto alcuni organismi internazionali (vedi Ocse) parlano di una recessione per il 2012 dell'1,9% del Pil mentre, in realtà, la caduta del nostro prodotto interno lordo per il 2012 si avvicina al 3% se tutto va bene e si proietterà anche per l'anno 2013 durante il quale la recessione, ancorchè più ridotta, continuerà a mordere imprese e famiglie. Alla stessa maniera anche sul versante della crescita i conti non tornano. Non solo, infatti, si parla di un piccolo incremento del Pil già nel 2013 ( + 0,5%) che non ci sarà, ma ciò che spaventa sono gli obiettivi programmatici del governo che parlano di una crescita dell'1% del Pil nel 2014 e dell'1,2% nel 2015. Per dirla in breve il governo sta tassando in maniera drammatica famiglie ed imprese, sta attivando un processo inflazionistico che toglie massa spendibile alle famiglie e aumenta i costi di produzione per le imprese perché a tre anni data l'Italia possa crescere di poco più dell'1% del Pil. Se così fosse, il Paese arriverebbe stremato all'appuntamento del 2015 con milioni di disoccupati e con milioni di nuovi poveri provenienti dal quel ceto medio che è sempre stato la spina dorsale del paese. Così davvero non va. A noi non sfugge, e non è mai sfuggita, la grave crisi internazionale, finanziaria ed economica, così come non abbiamo mai pensato che manovre anticicliche potessero essere fatte a debito. Ciò che comincia a indignarci, però, è l'assenza di un linguaggio di verità sulla recessione in atto che è molto più pesante di quella che il governo vuol far credere e la totale assenza di speranza che si offre al Paese con una sorta di burocratismo cinico pur avendo sotto mano gli strumenti utili per alleggerire prima, ed invertire poi, gli effetti del ciclo economico negativo. Più volte abbiamo parlato nel dettaglio di questi strumenti a partire dalla vendita degli immobili strumentali delle amministrazioni centrali dello Stato che, in un calcolo prudenziale, potrebbero far recuperare 35-40 miliardi di euro così come l'abbattimento di una quota del debito accumulato non solo è possibile ma è necessario per rimetter in sesto la nave italiana. E proprio sul terreno della riduzione del debito vi sono già almeno 3 proposte in campo, quella di Pellegrino Capaldo, quella di alcuni uomini di Mediobanca e quella nostra incentrata principalmente sulla richiesta di un contributo volontario con annesso premio rivolto a quel 10% di italiani che non è stato toccato dalla crisi e che possiede almeno il 45% della ricchezza nazionale. A quest'ultima, infatti, va chiesto uno sforzo finanziario tollerabile ma fondamentale anche perché aiutando il Paese a salvarsi finirebbe per difendere se stessa e le proprie fortune. Qui non si tratta solo di equità in un momento in cui a famiglie e imprese, particolarmente quelle piccole, viene chiesto così tanto con l'aggiunta dell'aumento del costo della vita e dei costi di produzione. Qui si tratta di attivare politiche possibili che richiedono, però, un minimo di coraggio e di cultura di governo ben sapendo che senza crescita non si risanano i conti pubblici e si rompe una coesione sociale già messa a dura prova. Al governo Monti queste cose vanno dette con chiarezza e nel contempo, però, va aiutato nelle sue scelte dai tre partiti che lo sostengono in Parlamento che devono dismettere quel ruolo di convitato di pietra sin qui tenuto. Ma Monti deve anche essere disponibile a farsi aiutare spogliandosi di quello sdrucito abito di supponenza che non si addice agli uomini di Stato e di governo.

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