Erano le 23,40 di un martedì d'agosto.
Latelefonata parlava del cadavere «di una giovane rinvenuto nella sede regionale dell'Associazione italiana alberghi della gioventù». Si legge nel verbale della Squadra mobile: «Sul posto, effettivamente, in una stanza della citata associazione, vi era il corpo esanime di una ragazza, successivamente identificata per Simonetta Cesaroni». È il primo atto di un giallo lungo ventidue anni. Il nuovo codice di procedura penale è appena entrato in vigore e affida al magistrato inquirente compiti «operativi» che prima non aveva mai avuto. Non c'è inoltre una cultura di congelamento della scena del crimine e, infatti, nelle prime fasi delle indagini vengono commessi una serie di imperdonabili errori e omissioni. Non viene prelevata la temperatura corporea del cavadere, viene spento il computer della vittima, che era rimasto acceso, e pochi giorni dopo l'omicidio, l'ufficio dell'Aiag è dissequestrato e ripulito da cima a fondo, cancellando probabilmente tracce importanti per gli investigatori. A trovare il corpo è la sorella di Simona, Paola, che insiste per entrare nell'ufficio. Simonetta è nuda, ma non ha subito violenza carnale. La ragazza è stata uccisa con 29 colpi di tagliacarte, vibrati su quasi tutte le parti del corpo, anche sul seno e sul pube. Le indagini imboccano subito una strada precisa. Che si rivelerà vana. Il 10 agosto del 1990 viene fermato Pietrino Vanacore, uno dei portieri dello stabile di via Poma, che però sarà scarcerato il 30 agosto. L'8 ottobre vengono consegnati i risultati dell'autopsia. Il corpo ha una lesione ad un'arcata sopraccigliare e diverse ecchimosi. La morte, avvenuta tra le 18 e le 18,30, è dovuta alle coltellate, vibrate sul corpo senza vestiti. Il 16 novembre il pm Piero Catalani chiede l'archiviazione della posizione di Salvatore Volponi, datore di lavoro della vittima e il 26 aprile 1991 il gip Giuseppe Pizzuti accoglie la richiesta di Catalani e archivia gli atti riguardanti Pietrino Vanacore e altre cinque persone. Il fascicolo resta aperto contro ignoti. Nel '92 spunta il «supertestimone» austriaco Roland Voller. È un confidente della polizia e ha già collaborato per il delitto dell'Olgiata. Riferisce di aver saputo dalla madre di un ragazzo, Federico Valle, figlio di un noto civilista, che quel martedì 7 agosto era tornato a casa ferito. Il 3 aprile Federico Valle riceve un avviso di garanzia. Il giovane è il nipote dell'architetto Cesare Valle, che abita nel palazzo di via Poma e che la notte del delitto ha ospitato Vanacore. Secondo l'accusa, ha creduto che Simonetta fosse l'amante del padre e l'ha uccisa per questo. È un altro abbaglio. Il 16 giugno 1993 il gip Antonio Cappiello proscioglie Valle per non aver commesso il fatto e Vanacore, che era stato accusato di favoreggiamento nei suoi confronti, perchè il fatto non sussiste. I due escono definitivamente di scena il 30 gennaio del '95, quando la Cassazione conferma la decisione della Corte d'appello di non rinviare a giudizio gli indiziati. Per un lungo periodo di via Poma si parla poco. Ogni tanto qualche giornalista cerca di dare un senso al mistero. C'è chi insiste nell'affermare un ruolo dei servizi segreti. Chi ipotizza che Simonetta avesse un amante rimasto nell'ombra. Sono tutte illazioni. O, comunque, notizie che restano orfane di una qualsiasi conferma. Il papà della ragazza, disperato perché non riesce a sapere la verità e ad ottenere giustizia, si reca periodicamente in «pellegrinaggio» al tribunale di piazzale Clodio con l'avvocato di famiglia Lucio Molinaro. Cerca di stimolare gli investigatori, ripete che in nome del killer della figlia è «nelle carte processuali». Il 20 agosto 2005 l'assassino di Simonetta fa un altra vittima: il padre Claudio, consumato dal dolore, muore per una pancreatite. Il 12 gennaio del 2007 la presunta svolta. Dalle analisi del Ris di Parma sarebbe emerso che il dna trovato sugli indumenti di Simonetta è dell'ex fidanzato Raniero Busco. Simonetta inoltre non sarebbe morta alle 18, ma alle 16. Una versione, quest'ultima, che verrà smentita dal secondo processo che si è concluso ieri. Ma gli inquirenti vanno avanti come treni. Il 6 settembre 2007 l'ex fidanzato viene iscritto dalla procura di Roma sul registro degli indagati per omicidio volontario. E il 28 maggio 2009 la procura chiede il suo rinvio a giudizio. La richiesta viene accolta il 9 novembre. Il dibattimento si apre il 3 febbraio 2010 davanti ai giudici della Terza corte d'Assise presieduta da Evelina Canale. A disporre il processo è stato il Gup Maddalena Cipriani, che ha accolto le richieste del pm Ilaria Calò. Secondo i consulenti dell'accusa l'arcata dentale di Busco è compatibile con la traccia di un morso lasciata sul seno di Simonetta, sul corpetto e sul reggiseno della ragazza ci sono tracce biologiche dell'indagato, ormai imputato. Pochi giorni prima di testimoniare in aula, il 9 marzo 2010, l'ex portiere Pietrino vanacore si uccide affogandosi in pochi centimetri d'acqua a Torre dell'Ovo, in provincia di Taranto. Lascia due bigliettini con scritto «Venti anni di sofferenza e sospetti portano al suicidio». Nell'ottobre del 2008 la sua casa in Puglia era stata perquisita nell'ambito di una nuova inchiesta a suo carico, anche questa archiviata. L'indagine sul suicidio non porta a nulla. Il 26 gennaio, anche se tutti si attendono un verdetto di assoluzione, il meccanico dell'Alitalia viene condannato a 24 anni per omicidio volontario. Il 24 novembre 2011 comincia il processo d'appello. Il 27 marzo 2012 la nuova perizia disposta dalla Corte demolisce le certezze degli esperti dell'accusa del primo grado. Il morso forse non è un morso. Ma, se lo è, non è attribuibile a nessuno. E non è detto che le tracce biologiche sulla biancheria intima della vittima siano di saliva. Un lavoro che contribuirà molto all'assoluzione di Raniero. «Non scrivete che ancora una volta c'è un delitto senza colpevole - ha detto il professor Franco Coppi, uno dei difensori di Busco, nella sua arringa di giovedì scorso - Il colpevole c'è, annidato da qualche parte. E prima o poi verrà scoperto e punito». Purtroppo, invece, siamo costretti a scriverlo, professore.