Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Rosi resiste: «Resto al mio posto»

Esplora:
default_image

PolemicheLa vicepresidente ex Lega torna sullo scranno più alto del Senato Pd e Idv: «Dimettiti», ma gli altri la difendono. E alla «strega» scappa una lacrima

  • a
  • a
  • a

Ilsipario si alza e lei è lì, seduta sullo scranno più alto dell'Aula di Palazzo Madama. Il copione è già scritto. «Dimissioni, dimissioni», urlano i senatori Idv battendo i pugni sui banchi. Hanno anche preparato dei cartelloni con su scritto «Mauro dimettiti», con al centro il disegno di un vistoso diamante. È per i diamanti, i soldi ricevuti dal "suo" Sindacato Padano, le lauree all'estero finanziate con la cassa del partito grazie ai favori di un tesoriere amico, che deve dimettersi. Rosi Mauro non è indagata e ha smentito tutto, ma la stessa presidenza di Palazzo Madama ha giudicato inopportuna la sua presenza in Aula in sostituzione della seconda carica dello Stato, tanto che Renato Schifani è stato costretto agli "straordinari". Fino a ieri mattina. Dopo settimane di assenza Rosi "la pasionaria" è tornata. I fischi, e qualche applauso, sono tutti per lei. In un primo momento non batte ciglio, parla al cellulare. Poi, prima di dare la parola al capogruppo Idv Felice Belisario che per primo si è iscritto a parlare, si lascia scappare una lacrima. Torna subito in sé, però. E dà inizio al dibattito. Si parla di lei, ovviamente. Belisario e Luigi Zanda (Pd) chiedono un suo passo indietro. «Perché la sua presenza qui sembra una provocazione», attacca il primo. «Per ristabilire l'equilibrio politico all'interno del gruppo di presidenza ora che lei non fa più parte della Lega», spiega il secondo. Già. Rosi Mauro è stata espulsa dal Carroccio e dal gruppo parlamentare leghista al Senato. Adesso è al misto. Per i Lumbard "la nera" era troppo coinvolta nell'affaire Belsito per restare. «O lei o io», ha detto Bobo Maroni nel corso della riunione della segreteria federale che ha messo alla porta la vicepresidente del Senato. I leghisti sono in Aula. C'è pure qualche big: Calderoli, Castelli, Stiffoni. Anche quest'ultimo è stato tirato in ballo per l'acquisto di alcuni diamanti, ma lo stato maggiore del partito si è fidato di lui. Fa ancora parte del Carroccio. Assiste alla caccia alla "strega", insieme a tutti gli altri, in silenzio. I Lumbard fanno finta di non conoscerla, Rosi. Lei, suo malgrado, ha dismesso i simboli del partito: al taschino non c'è più nessun fazzoletto verde, nessun foulard al collo. «Come è noto a tutti, all'interno della Lega abbiamo già affrontato tale questione che, per quanto ci riguarda, è risolta - si limita a dire il capogruppo leghista Federico Bricolo - A noi in questo momento interessano i tempi previsti per i lavori dell'Aula per l'esame dei vari provvedimenti che arrivano dal Governo, entrando nel merito degli stessi e contrastandoli quando non li condividiamo, nell'interesse dei cittadini. Questo è quello che ci interessa fare», attacca. «Grazie senatore Bricolo» scandisce bene la vicepresidente, passando la parola a chi viene dopo di lui. Sono in tanti, però, a difendere "la pasionaria". «Rimanga al suo posto - tuona sicura la senatrice repubblicana Luciana Sbarbati - I pesi e le misure devono essere uguali per tutti. È troppo facile eliminare i propri nemici facendo leva su notizie di stampa che vanno assolutamente verificate, ancora di più - conclude - se si tratta di una donna che assume posizioni politicamente scomode». Mauro annuisce. A chi le chiede di confrontarsi con la sua coscienza lei fà cenno di sì con la testa, come a dire: «È quello che ho fatto». Ma dai banchi arrivano attacchi duri. E se Rutelli cerca di tirare per la giacca Schifani («la decisione chiama in causa anche la sensibilità del presidente del Senato, quale garante dell'autorevolezza delle istituzioni»), è l'ex presidente del Senato Marcello Pera a prendere le parti dell'ex senatrice leghista: «Le questioni politiche non sono questioni istituzionali e non si può sovrapporre la battaglia politica alla conduzione delle istituzioni. Quando alla Camera - ricorda riferendosi a Gianfranco Fini pur senza citarlo - è stato chiesto a un presidente espulso dal proprio partito di lasciare il proprio incarico, il presidente in questione, giustamente, ha risposto che non ci pensava proprio, che il dibattito non si poteva, né doveva fare. Ha suonato la campanella, ha letto l'ordine del giorno della seduta e la cosa è finita lì». «A Fini non dite niente, vero?», si sente urlare, allora, dai banchi Pdl. «Pensate ai vostri appartamenti», rincara la dose qualcun altro. Rosi, comunque, accetta il consiglio: «Dal banco della presidenza - dice nel chiudere il dibattito sulla sua persona - intendo dare una risposta unicamente istituzionale», e cita il regolamento: «La decadenza dall'incarico si prevede solo nel caso di un senatore segretario eletto in consiglio di presidenza per rappresentare un gruppo che non vi prende parte» e «questo non è il caso», precisa scandendo le parole. Quindi aggiunge: «Ho fatto riferimento al regolamento del Senato come ho sempre fatto e continuerò a fare» e legge l'ordine del giorno dell'Assemblea. Arrivano gli applausi. Anche da sinistra.

Dai blog