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L'Europa è tra la Borsa e la vita

Un broker osserva le variazioni del mercato azionario nella Borsa

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Tre francesi su quattro hanno votato contro l'Europa attuale: quella del rigore imposto da Berlino, delle politiche migratorie buoniste e del trattato di Schengen, dello spread e della turbofinanza, dei bizantinismi di Bruxelles e della Bce che finanzia le banche ma non le famiglie e le imprese. Al tempo stesso sei francesi su dieci esprimono un voto centrista, di centrodestra o destra radicale: il che dovrebbe indurre a letture meno superficiali di quella del segretario del Pd, che si è affrettato a salutare «il vento nuovo che anche noi stiamo per prendere». E non solo. È piuttosto sorpendente che la grande stampa italiana si ostini ad interpretare quei voti come antisistema, protestatari, estremisti, razzisti. Che per fortuna verranno ricondotti all'ovile grazie al ballottaggio. Ma di che cosa stiamo parlando? Il vizio di interpetare la realtà dall'alto, con le lenti professorali, ci fa perfino dimenticare che ciò che è in ballo è la Francia, il paese che dal 1788 è il cuore dell'Europa moderna, dei suoi diritti, delle conquiste civili. Certo, anche di una visione di sé, la grandeur, spesso mal riposta. Ma se questo paese si scopre antieuropeo vuol dire che i motivi vanno cercati a Bruxelles e Berlino, non nelle roccaforti bianche di Nizza o rosse delle banlieu parigine. Lo stesso Francois Hollande, il socialista già soprannominato Flamby (un budino) per la vaghezza politica, ha promesso che se vincerà il 6 maggio alzerà la voce con Angela Merkel per smantellare quel fiscal compact che serve solo alla Germania. Che adotterà gli eurobond, cioè la condivisione dei debiti europei di cui i tedeschi non vogliono sentir parlare. Che riassumerà gli statali, anziché licenziarli, e ripristinerà la pensione a 60 per chi ha 41 anni di contributi: il tutto in sfregio ai compiti a casa imposti non solo a noi. Ma anche Sarkò, del quale non va sottovalutata la possibile rimonta, per tenersi l'Eliseo dovrà accogliere molte richieste dei nazionalisti di Marine Le Pen, dalla stretta agli immigrati alla difesa dei posti di lavoro e dell'industria francese, con buona pace del politicamente corretto e dell'assolutismo regolatorio di Bruxelles. E quanto tutto ciò metta in allarme la cancelliera tedesca lo dimostra l'endorsement reiterato ma codino per Sarkozy, «che continuiamo a sostenere anche se preoccupa l'estrema destra». Tradotto: i francesi continuino a rigare dritto. Eppure per la Merkel il 6 maggio potrebbe diventare un 11 settembre. Tra due settimane oltre che per il ballottaggio in Francia si vota in Grecia, il paese nel quale il rigore teutonico ha già prodotto 1.752 suicidi. L'Irlanda ha detto che sottoporrà il nuovo trattato a referendum popolare. L'Olanda, finora tra i più stretti alleati della Germania, traballa: la coalizione di centrodestra si è spaccata proprio sul fiscal compact ed il premier Mark Rutte annunciato le elezioni anticipate. Alle quali il partito nazionalista si presenta con lo slogan «Fuori i dittatori di Bruxelles». La Spagna ha notificato all'Europa che con il 25 per cento di disoccupazione non potrà rispettare le scadenze sul deficit pubblico. In Danimarca l'appoggio a Berlino sta facendo scricchiolare il nuovo governo della socialdemocratica Helle Thorning Schmidt. Quanto alla Gran Bretagna, quel patto non l'ha mai sottoscritto. Allora, era il 2 marzo, si sprecarono sentenze sull'euroscetticismo e l'isolamento britannico, dimenticando che sulle grane dell'Europa la storia ha sempre dato ragione all'Inghilterra. Come si vede l'onda è molto diffusa, e non è di destra né di sinistra ma solo di cittadini normali. Se lo ricordi anche Mario Monti. Se oggi l'Unione europea facesse una cosa elementare in democrazia, sottoponesse cioè a referendum nei paesi membri il nuovo trattato di bilancio ed i vincoli scritti voluti dalla Merkel su tasse, welfare, lavoro, che risultato uscirebbe? Il fatto che a Bruxelles e Berlino non passi neppure per la testa un'ipotesi del genere, la dice lunga sugli interessi in ballo. Voi direte: è ovvio che tra il burro e i cannoni risultano più graditi i primi. Non sempre è così: gli inglesi accettarono le lacrime, sudore e sangue di Churchill per battersi contro Hitler. Gli americani l'invito di Kennedy a chiedersi che cosa potevano fare loro per l'America, e non l'America per loro. Noi italiani abbiamo detto sì alle leggi speciali contro il terrorismo e no al ritorno della scala mobile. Oggi se si continua a sacrificare la democrazia allo spread, prima o poi (più prima che poi) saranno gli stessi popoli a mandare al diavolo i mercati e i tedeschi. Anche perché che cosa viene offerto in cambio a noi europei? Un ruolo ormai marginale rispetto alle nuove potenze ed agli Usa. Un benessere che regredisce a livelli di sottosviluppo. Un paio di secoli di conquiste civili e sociali considerate rottamabili. Uno standard di vita che rifulge solo nei film di Woody Allen. In poche parole, un luogo dove uno solo comanda e tutti gli altri lavorano per lui: ci ricorda qualcosa.

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