Marine Le Pen è la vera vincitrice la sua destra parla ai giovani
Il vero fenomeno del primo turno presidenziale in Francia ha un volto di donna ed è Marine Le Pen. Diffondendo i dati degli exit poll da terra straniera, l'hasthag #radiolondres l'ha soprannominata “Norimberga”. Neppure troppa fantasia, il refrain del “pericolo bruno” che avanzava. Eppure la leonessa del Front National è riuscita a ottenere un risultato storico, «ben oltre quello di suo padre» Jean-Marie che nel 2002 arrivò fino al secondo turno contro Jacques Chirac. Se c'è una notizia, eccola qui. In attesa di analisi del voto che ci dicano, per esempio, quali sono state le zone in cui Marine ha fatto il pieno e se si è confermata la simpatia degli under 25 verso di lei, i dati grezzi di questa prima puntata della corsa all'Eliseo confermano ciò che mesi fa avevo scritto su questo giornale: la politica francese continuerà a fare i conti con la forza elettorale del Front National e nei prossimi anni, grazie al suo nuovo leader. Surprise titolano i siti Internet e oggi titoleranno molti giornali, ma francamente di sorpresa, per chi ha osservato e studiato Marine, ce n'è davvero poca. Semmai la solita conferma che i sondaggi condotti durante la campagna elettorale sottostimano la forza dei candidati del FN. L'altra conferma, poi, è che il travaso del carisma dal padre fondatore alla figlia è riuscito, un caso forse unico nella storia politica europea, data la forte matrice personalistica che Jean-Marie Le Pen aveva impresso al suo partito. Marine è davvero il prodotto della politica postmoderna e televisiva, e lo è in senso positivo: spigliata, comunicativa, seducente, allenata a percepire tendenze e umori della società francese e a trasformarle in battaglie politiche, dotata di una capacità di popolarizzare i concetti talmente nitida che le è costata l'accusa di “banalizzare” questioni politiche complesse. La sua biografia di avvocato quarantaquattrenne e madre di tre figli, divorziata e risposata, poi, ne fa un prototipo di donna molto distante dagli stereotipi conservatori della “custode del focolare”. Per questo, nel suo anno di leadership del Front National, ha focalizzato la promozione della sua immagine rivolgendosi a quelle categorie – in primis le stesse donne – dove la destra-destra non aveva mai goduto di larghi consensi, a maggior ragione in Francia, dove temi come le donne single e madri o la crescente laicizzazione della società sono molto più discussi che in Italia. Ma doveva fare politica, prima, immergersi nel campo di battaglia della caccia al volto, dimostrare a militanti ed elettori di essere qualcosa di più della figlia del capo, scrollarsi di dosso l'ipoteca della predestinata. C'è riuscita, ben prima di affacciarsi al balcone mediatico delle presidenziali, imponendosi, all'esterno, in importanti contese elettorali e, all'interno, avendo la meglio nelle dinamiche correntizie di un partito come il Front National, difficile da frequentare per un donna, figuriamoci per un'avvocatessa in tailleur. Nel 2010 si è candidata in una regione difficile politicamente e depressa economicamente come il Pas de Calais (per intenderci, quello raccontato nel film Giù al Nord), ottenendo una percentuale quasi identica a quella dei sarkozisti. È andata avanti, e ha trionfato lo scorso anno al congresso del FN contro Bruno Gollnisch, esponente della «vecchia guardia» del partito e maggiormente gradito all'establishment interno, che non vedeva di buon occhio le tendenze «moderniste» di Marine. Perché, osservando la storia del Front National e in generale dell'estrema destra francese, Marine Le Pen è una modernizzatrice. Dell'immagine e della piattaforma politica del partito. O un'abile rabdomante delle paure che circolano nella società francese. Le due cose convivono, non c'è dubbio, e la rendono un oggetto politico interessante, non c'è dubbio. Nonostante i proclami di una grandeur ritrovata, anzi mai persa, sparsi da Sarkozy, e l'improbabile piattaforma progressista elaborata da Hollande, questa campagna elettorale ha fatto i conti più con i timori dei francesi sull'Europa, la disoccupazione, l'emarginazione della Francia dallo scacchiere internazionale, anche dopo l'avventura bellica in Libia. A questo insieme di incertezze e inquietudini Marine è riuscita a dare una forma politica e una grande efficacia comunicativa. Ascoltandola in televisione o ai comizi, il fardello dell'estremismo si dileguava immediatamente. Il suo programma elettorale e la retorica esibita in questi mesi hanno girato attorno al fallimento dell'Europa, dell'euro, del mercato comune, delle tecnoburocrazie di Bruxelles, e certamente il suo score personale indica un forte sentimento antieuropeista trasversalmente diffuso tra i francesi (e, aggiungiamo, entro breve destinato a scoppiare anche da noi). Ma il FN si è presentato anche come il partito della difesa dello Stato, dell'intervento pubblico, della laicità dell'istruzione, del principio «prima i francesi» in chiave di politiche sociali, della «meritocrazia repubblicana», persino di un ecologismo ancorato alla campagna dei prodotti a «chilometro zero» che in Italia affascina la sinistra. Il programma di un tradizionale partito di destra, insomma, aggiornato al nuovo millennio e al contesto di crisi globale. In molti - anche calcolando la somma dei suoi voti con quelli di Sarko, vicina al 50% - si chiedono da tempo se prima o poi deciderà di portare avanti il rinnovamento del FN, ancorando il suo partito all'avvenire delle destre moderate. Ma ieri, brindando al successo, Marine avrà pensato ad altro.