La Banda Bossotti colpisce ancora
di Mario Sechi È confermato: la Lega è dentro la trama di un romanzo spionistico. Dopo l’oro e i diamanti di Goldfinger-Belsito credevamo di aver visto tutto, e invece... oplà! anche la giornata di ieri ci regala fatti memorabili. Eccoli in serie e cominciate a prendere il calmante: 1. nei documenti sequestrati sull’acquisto di gemme e lingotti compaiono le firme dei parlamentari leghisti Piergiorgio Stiffoni e Rosy Mauro; 2. nella Lega sono al tutti contro tutti e lo prova uno scoop di «Panorama» che rivela l’esistenza di un dossier leghista contro Bobo Maroni, l’unico candidato possibile al posto di Umberto Bossi; 3. Rosy Mauro annuncia a Matrix che non esclude di passare con Beppe Grillo. Che grande spettacolo di nobiltà d’animo. Todos caballeros. La grana padana si è trasformata in guerra padana. Bruttissima vicenda. Perché è diventata la metafora del nostro sistema politico: una storia di bassa lega dove una specie di «Banda Bossotti» si adoperava per fregare tutti e tutto: potere, soldi, privilegi. È un minestrone rancido, indigeribile per qualsiasi cittadino che tira a campare e deve pagare. Le lotte fratricide sono da sempre uno degli ingredienti del menù della politica, ma devo ammettere che quella leghista è affascinante per il suo lato trash, il cattivo gusto, il pressappochismo, l’assoluta imperizia, la diffusa ignoranza e la comica irresponsabilità con cui si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Un ex ministro dell’Interno - il titolare del Viminale, uno degli uomini più potenti del Paese per la carica che riveste - viene spiato da alcuni esponenti del suo partito. L’uomo che dispone della polizia finisce per essere dossierato dai suoi compagni d’avventura. Metter su un’operazione di intelligence senza avere un briciolo d’intelligenza non è facile. E infatti i leghisti spioni sono finiti come l’Emmental, pieni di buchi dai quali è uscito di tutto. Il cerchio magico s’è trasformato in circo magico, il figlio di Bossi è diventato una trota in salmì dimettendosi da tutto e forse anche da se stesso, Rosy Mauro è in mutazione perenne, un personaggio tragico che fa la parte del capro espiatorio ma più la cronaca va avanti e più il sospetto che abbia qualche colpa da espiare si materializza. E poi c’è un tal Stiffoni sul quale vale spendere qualche riga: interpellato l’altro ieri dal nostro giornale il senatore aveva negato qualsiasi tipo di relazione con la storia dei lingotti e dei diamanti. Ma ieri abbiamo scoperto che la sua firma compare in un ordine d’acquisto di preziosi fatto dal tesoriere della Lega Belsito. Perbacco, questo qualcosa cambia. Torniamo indietro di 48 ore. Desidero che i lettori si facciano un’idea precisa dei fatti, non voglio far loro perdere niente di questa prelibata portata del menù della nostra politica. Riporto l’istruttivo botta e risposta pubblicato su Il Tempo di ieri con il nostro capo del servizio politico, Alberto Di Majo. Domanda:«Dicono che lei avrebbe preso alcuni diamanti e lingotti d’oro». Risposta: «Si, come no, li ho sotto il mio letto». Di fronte a una risposta così secca il cronista che fa? Prende atto. Stiffoni è granitico nelle sue affermazioni e noi registriamo e riportiamo il virgolettato. «Finalmente uno tosto» chiosiamo io e Di Majo in riunione. Nella serata di ieri, quello che appariva tosto, si smoscia. E la sua versione dei fatti cambia. Scompare il letto. Compaiono i diamanti. Leggete un po’ cosa dice Stiffoni dopo la diffusione della notizia che c’è la sua firma su un ordine d’acquisto: «In questi anni ho avuto la possibilità di risparmiare del denaro che, d’accordo con i miei familiari, è stato oggetto di investimenti nello scorso mese per proteggerlo dalle fluttuazioni negative dei mercati». Benissimo, tutto regolare, ottimo investimento, da manuale del risparmiatore. Ma non poteva dirci la verità l’altro ieri, caro onorevole Stiffoni? Cosa le costava mettere in chiaro la vicenda da subito? Era così difficile di fronte alle domande di un giornalista informare i lettori - e soprattutto i suoi elettori - delle sue scelte e dire che aveva preso tale decisione? Non mi pare - da quel che lei dice - ci sia nulla da nascondere, semmai da chiarire subito per fugare tutti i dubbi e affermare la sua posizione chiara e non compromessa. E invece no, lei ci ha raccontato una non verità. E ha fatto male. Perché non c’era alcun motivo per essere reticente di fronte alla stampa che fa il suo mestiere e a milioni di votanti del Carroccio che non meritano di essere presi in giro. Né dal fondatore della Lega, Umberto Bossi, né da uno Stiffoni qualunque. Andiamo avanti. Dove? Alla soluzione politica del problema. La diga ha ceduto, il fiume con i suoi detriti precipita a valle e mi chiedo quanto ancora dobbiamo aspettare per vedere due o tre decisioni serie da parte del Parlamento. I politici di professione pensano che prima o poi quest’ondata di rigetto verso tutto ciò che è preceduto dalla parola «partito» passi e tutto andrà bene madama la marchesa. No, grave errore. Qui abbiamo un sismografo piuttosto attendibile: le lettere e i messaggi dei lettori. Non c’è n’è uno solo che difenda lo status quo. Ci sono invece tante persone ragionevoli, cittadini moderati, che desiderano una reazione credibile, uno scatto, un cambio di passo, un gesto che dia un senso di rinnovamento vero del sistema politico. A giudicare dal tenore di quello che mi scrivono, ancora non è arrivato niente di convincente. Il governo dei tecnici sta facendo da parafulmine a una situazione di decadimento molto grave. Per questo non ci sono e non ci saranno alternative all’esecutivo di Mario Monti. Serve a «far passa’ a nuttata» ai partiti e poi si vedrà cosa esce dalle urne. Uno tsunami. Non perché sia contro il cambiamento, anzi, ma perché all’orizzonte non vedo nessuna forza politica in grado di assicurare la discontinuità e nello stesso tempo l’equilibrio istituzionale per traghettare la nostra scassata nazione dalla Seconda alla Terza Repubblica. Sarebbe compito dei leader di questi partiti trovare un accordo decente e darci regole nuove con cui votare, scegliere chi deve governarci e assicurare un minimo di stabilità. Ma fanno melina e di lavoro effettivo in Parlamento ne è rimasto poco: sei mesi al massimo, poi sarà tempo di propaganda. La trattativa sulla nuova legge elettorale - passaggio fondamentale - è in stallo. Tra i guastatori è comparso pure Romano Prodi, al quale la bozza proporzionalista alla tedesca proposta da Alfano, Bersani e Casini non piace. E invece il prof si sbaglia, è un buon compromesso perché le attuali coalizioni sono andate in frantumi e riproporre la grande ammucchiata dell’Ulivo come sogna Prodi è impossibile. O meglio, fattibile, perfino vincente, ma poi assolutamente incapace di governare un Paese con il terzo debito pubblico del mondo e la recessione in corso. Io non ho dimenticato i tempi in cui il governo Prodi era appeso ai voti del senatore sudamericano Pallaro o ai generosi contributi dei senatori a vita. È finita anche quell’avventura progressista come doveva finire: male. E per favore, non concedeteci il bis. Si andrà avanti così, le inchieste sul malcostume politico continureanno. Gli italiani batteranno i pugni sul tavolo, rideranno e guarderanno il calendario in attesa di voltare pagina e arrivare al 2013. Poi si voterà e nel circo del Parlamento ci sarà un’attrazione in più: un Grillo parlante con i suoi grillini. Buona fortuna.