Pirellone nella bufera: lascia anche Boni. Formigoni: «Io resto»
Lui lo ha descritto come un «bisogno» per togliere se stesso e la famiglia dai riflettori; ma anche come un «dovere» nei confronti del suo partito, la Lega Nord. Davide Boni ha deciso di dimettersi da presidente del Consiglio regionale della Lombardia un mese e mezzo dopo l'avviso di garanzia ricevuto per un presunto giro di tangenti e dopo i ripetuti «no» a fare un passo indietro. «Seguo l'esempio di Umberto Bossi», ha affermato, anche se non pochi hanno fatto notare che dalle dimissioni del Senatur è passata più di una settimana. «Un gesto apprezzabile», ha tuttavia riconosciuto subito il triunviro Roberto Maroni, che anche in Regione - dove le opposizioni hanno avuto gioco a rilanciare la richiesta di elezioni anticipate - vuole adesso un ricambio generazionale. Quale che sia la ragione principale del suo gesto, è un fatto che la sua permanenza da indagato sullo scranno più alto del Pirellone rischiava di diventare scandalo nella fase due del Carroccio, specie dopo che per la «ragion di partito» erano stati sacrificati sia Renzo Bossi sia Monica Rizzi. E allora ecco che dopo una notte di riflessione indotta da quel «valuta tu» pronunciato lunedì in via Bellerio da Roberto Calderoli, Boni si è presentato nel suo ufficio al 25/o piano con la decisione in tasca, e senza gridare ai complotti. Ieri l'esponente della Lega ha diretto i lavori dell'Aula come sempre: le dimissioni saranno depositate ufficialmente domattina e il sostituto verrà eletto solo nella prossima seduta di martedì 8 maggio. Asciutto il messaggio a Boni del governatore Roberto Formigoni (su Twitter): «Bel gesto, bravo Davide». Il presidente della Lombardia, però, non intende fare nessun passo indietro: «Io resto fino al 2015. Dimissioni? Non sono oggetto di alcuna indagine - ha replicato - non c'è il minimo indizio su tutti gli atti della nostra giunta. Stiamo governando bene, di fronte a governo che funziona e dà provvedimenti utili, solo degli irresponsabili possono pensare a una crisi di governo in Lombardia in questo periodo».E ancora: «La Regione Lombardia ha un governatore limpido come acqua di fonte», ricordando come «ci sono diversi miei colleghi del centrosinistra sotto indagine, da Errani a Vendola, dal sindaco de Magistris al governatore Lombardo in Sicilia. Io non penso che debbano dimettersi». Pierangelo Daccò, uomo d'affari in carcere non solo per il caso San Raffaele ma ora anche per l'inchiesta della Procura di Milano con al centro la Fondazione Maugeri, rischia però di mettere nei guai Formigoni. Interrogato ieri dal gip ha ammesso di aver preso dalla stessa fondazione 70 milioni in consulenze in quanto sapeva «come risolvere i problemi» perché conosceva come funzionavano gli «ingranaggi» in Regione.