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La Lega affonda nell'oro

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Roberto Maroni

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Nella Lega devono aver preso una sbornia colossale di film di James Bond, non c'è altra spiegazione. Non credo siano dei cultori dei libri di Ian Fleming, ma di certo hanno visto Agente 007-Missione Goldfinger. Così Francesco Belsito, il tesoriere leghista, ha vestito i panni del cattivone del film, Auric Goldfinger, e si è messo a trafficare in oro e diamanti. Il piano era perfetto: faccio uscire soldi fruscianti dai conti del Carroccio accesi in Banca Aletti e Banca Popolare di Novara, li trasformo in gemme e lingotti e realizzo il tesoretto. Ma Belsito non ha il phisique du role per un film bondiano, al massimo potrebbe fare la comparsa ne I soliti ignoti. Insomma, s'è fatto beccare con le mani nella marmellata. Siamo al «ciak, si gira» di un film tragicomico. Ieri abbiamo annotato sul taccuino la restituzione del malloppo alla Lega. Se per tutto il resto c'è Mastercard, vedere l'avvocato di Belsito farsi firmare da un militante leghista la ricevuta di consegna, non ha prezzo. Pacco restituito: undici diamanti, cinque chili di lingotti d'oro e un'Audi A6 che era in uso a Renzo Bossi, il virtuoso figliolo di Umberto. Pare manchino all'appello duecentomila euro. Dettagli. «Sono di proprietà del partito» è stata la frase finale, un epitaffio perfetto per un partito che esordì sulla scena parlamentare con un cappio e l'urlo «Roma ladrona». Apoteosi del contrappasso dantesco, beffardo epilogo di una storia che mette la parola «fine» sulla diversità leghista. Ora abbiamo un Carroccio pieno di diamanti, lingotti, ampolle e scope padane. Evviva, la Lega affonda nell'oro. Immagino i pensieri di Giorgio Napolitano. Si affanna a tenere in piedi le macerie del sistema e si prodiga nella sua azione di moral suasion . Presidente, la stimo, ma è una fatica di Sisifo. Ipartiti non hanno nessuna intenzione di autoriformarsi. Troppi interessi, troppi parlamentari senza arte né parte. Ci sono gli onesti, uomini e donne che si sono spesi per il bene pubblico, ma sono travolti da uno tsunami che parla di gestioni e arricchimenti personali. Cosa può pensare un cittadino che tira a campare di fronte a partiti che trafficano in diamanti e lingotti? Cosa gli frullerà in testa quando a giugno dovrà pagare l'Imu? Uso il termine tecnico più appropriato: si incazza. E non prenderà la scopa padana, ma il forcone. Cosa dovrebbero fare i partiti per scongiurare l'arrivo di un'ondata antipolitica? Rimboccarsi le maniche e fare le riforme. Campa cavallo. Ma i partiti sono necessari, è la risposta pronta e saggia di chi si preoccupa per le sorti del Paese. Lo so bene, lo sanno i nostri lettori, ma in Parlamento si stanno scavando la fossa da soli e pare non abbiano ancora capito che cosa stia succedendo. È per questo che sono preoccupato. Non vedo una reazione adeguata alla gravità della situazione e addirittura percepisco molta rassegnazione e parecchio cinismo in giro. I segnali del caos sono sotto gli occhi di tutti. Ieri si doveva passare all'esame in sede legislativa - un passaggio più rapido - della riforma sulla trasparenza dei bilanci. Insufficiente su molti fronti, ma meglio di niente. Risultato: sono bastate 74 firme per bloccare la corsia preferenziale. Sarà un caso, ma sono quasi tutte della Lega. Si torna in aula. Palude parlamentare. E buonanotte. Purtroppo il lavoro del governo Monti da settimane ha perso lo smalto iniziale. Sulla riforma del lavoro ha proceduto al ribasso, le liberalizzazioni sono acqua fresca, sulla crescita -Passera dixit - non ci sono «ideone» ma mi permetto di aggiungere che non ci sono neppure idee piccole, mentre la crisi morde, la recessione avanza, i consumi calano, il debito sale, lo spread è tornato a spumeggiare come lo champagne e la spremuta fiscale è in arrivo. Neppure la riforma della legge elettorale è al sicuro. Ho letto le dichiarazioni di Romano Prodi sulla proposta di Alfano-Bersani e Casini. Il professore - che aspira al Quirinale - boccia il proporzionale. Per lui così «si torna all'ingovernabilità». Cosa che in realtà non è vera, ma qui interessa registrare la posizione politica. Il creatore dell'Ulivo boccia l'iniziativa del segretario del Partito Democratico. Il che si traduce poi in una guerra interna al Pd che non porta niente di buono per l'esito della riforma. Anzi, riporta in primo piano la grande tentazione del Pd di risolvere le sue contraddizioni interne rovesciando il tavolo delle riforme per andare alle elezioni anticipate in ottobre. Al Pd converrebbe, almeno sul piano puramente elettorale: l'alleanza di Vasto vincerebbe. E l'Udc avrebbe la sua quota di cariche istituzionali. A questo bisogna aggiungere il mal di pancia che la vicenda della gara per le nuove frequenze televisive ha creato nel Pdl, il partito più importante della maggioranza che sostiene il governo Monti. La mossa di Passera in un altro contesto avrebbe fatto rumore, non provocando però un patatrac. Ma ora lo scenario è diverso. Tutto può essere usato come scusa per affondare il governo tecnico e misurarsi in una battaglia elettorale all'ultimo sangue. Non è la soluzione. Perché chi va al governo poi si troverebbe di fronte alla domanda di Lenin: che fare? Vent'anni dopo Tangentopoli, siamo punto e a capo. C'è il paradosso dell'autoriforma - i tacchini che non possono deliberare sul pranzo di Natale - e i condizionamenti pesanti di un sistema di potere clientelare e affaristico che non molla la poltrona, unica garanzia per il futuro. In queste condizioni, i movimenti demagogici - di tutti i tipi - trovano terreno fertilissimo per crescere e raccogliere i consensi più vari. Da quello delle categorie sociali colpite dalla crisi - e smarrite dall'assenza di risposte del Parlamento - ai movimenti radicali da sempre presenti nel nostro Paese, ai furbacchioni che cercano voti e un'occasione per sbarcare a Montecitorio e trasformarsi rapidamente in quello che dicevano di combattere. Il cosiddetto «rinnovamento» in Italia procede sempre gattopardescamente, ma stavolta c'è di più. Si sente una rabbia idrofoba, una voglia di sfascio e tabula rasa che solitamente non porta nulla di buono. Non abbiamo mai saputo fare rivoluzioni, non abbiamo fatto mai i conti fino in fondo con la nostra storia, i nostri grandi errori. E il ciclo si sta ripetendo. Inesorabilmente. Le storie di Lusi e Belsito, i tesorieri della Margherita e della Lega sono il picco sismografico che segnala il pericolo: sta per saltare tutto. Un oscuro senatore del centrosinistra che si arricchisce personalmente, fa la bella vita, usa l'aerotaxi e investe soldi in Canada, usando i fondi del partito che a sua volta si fa fregare come un pivello; un improbabile contabile che fa gli interessi del «cerchio magico» di Bossi e famiglia, inventa tragicomici giri di denaro tra Cipro e la Tanzania, compra oro e diamanti con i soldi gentilmente concessi dai contribuenti al suo partito sotto forma di rimborso elettorale. Storie di impiccio e imbroglio che sono l'inizio della fine della Seconda Repubblica. Saltato il coperchio del pentolone di polenta leghista, salta tutto. Il mito del partito padano brutto da vedere, con molte idee sbagliate, ma almeno onesto è caduto fragorosamente. E anche per gli italiani che hanno sempre pensato al Carroccio come qualcosa di inguardabile e invotabile, questa vicenda è la goccia che fa traboccare il vaso. Ci salveremo? Siamo ancora in volo, allacciate le cinture di sicurezza.

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