Patrimoniale, botta da evitare
Rialza la testa il partito della patrimoniale, della "botta secca" al debito pubblico. Stavolta l'occasione è offerta dal risultato deludente delle due aste di Bot e Btp, dal ritorno dello spread. E dunque ecco esponenti cattolico-centristi come Rocco Buttiglione invitare «a dire la verità», a «rassicurare i mercati attraverso misure di finanza straordinaria», a «pensare ad una imposizione straordinaria per i grandi patrimoni sulle linee indicate a suo tempo da Pellegrino Capaldo». Per i non addetti spieghiamo di che si tratta. Capaldo, banchiere della sinistra cattolica vicino all'Udc, propose nel 2011 un prelievo tra il 5 ed il 20 per cento sull'aumento di valore degli immobili. Aumento che però può essere rilevato solo al momento della vendita o del passaggio agli eredi: per ovviare al problemino, il professore suggerì che nel frattempo i proprietari di case le ipotecassero a favore del fisco. Un gigantesco debito nazionale: a parte qualche trascurabile dettaglio (tipo: chi ha già un mutuo che fa, si sobbarca una seconda ipoteca?), da paese meno indebitato del mondo nel settore privato, e quindi più virtuoso, diverremmo i recordman del debito familiare. Proprio ciò che ha prodotto la bolla dei mutui subprime e viene indicato come strutturale debolezza dell'economia americana. In compenso Capaldo ha le idee chiare sull'entità dell'operazione: 900 miliardi, la metà del debito pubblico nel 2011. Ognuno dei 40 milioni di contribuenti si troverebbe indebitato a favore del fisco per 22.500 euro; ogni famiglia per circa 60 mila. La ricchezza familiare in abitazioni, stimata nel 2010 dalla Banca d'Italia in 4.800 miliardi, verrebbe ridotta di un quinto. A Buttiglione ha fatto eco la Cna, la confederazione degli artigiani vicina alla sinistra. Che ha diffuso un sondaggio dal quale risulta, come misura più gettonata, una patrimoniale una tantum. Ma anche il romano Luigi Abete, presidente della Bnl e della Assonime, l'associazione tra le aziende quotate in borsa, già leader della Confindustria, ha risfoderato la propria idea di patrimoniale: che lui chiama «ordinaria e a bassa intensità». Di che si tratta? Dell'uno per mille annuo sui patrimoni oltre il milione di euro, che frutterebbe 9-10 milioni «stabili» da destinare alla riduzione del carico fiscale sulle fasce basse. Proposta che quindi non andrebbe ad abbattimento del debito, ma avrebbe un fine tipicamente redistributivo. Ed è per questo che piace al Pd. Walter Veltroni lo ha detto apertamente, Susanna Camusso idem, Massimo D'Alema lo ha fatto intendere quando, giorni fa, ha annunciato che dopo i tecnici «l'Italia avrà bisogno di una decisa sterzata a sinistra». E non si vede di quale sinistra parli se non di quella della famosa foto di Vasto con Nichi Vendola e Antonio Di Pietro. In apparenza la ricetta Abete non è priva di appeal nel segno dell'equità. Ma ha due limiti che l'autore si guarda bene dal chiarire. Il primo: non andando a ridurre il debito, finirebbe nella immensa fornace delle entrate pubbliche. Rischiando quindi la fine ingloriosa di tutto ciò che finora è stato promesso di utilizzare per la riduzione delle tasse, e invece è rimasto nelle fauci del fisco. Dai tesoretti di Vincenzo Visco al recupero della lotta all'evasione del governo Berlusconi, dalla riduzione di deduzioni e detrazioni allo stesso aumento dell'Iva. Il secondo limite è ancora più evidente. Se davvero si vogliono per questa via recuperare 10 miliardi l'anno occorre applicare il prelievo su tutte le ricchezze, finanziarie e immobiliari. Abete parla di colpire solo i super-ricchi, oltre il milione di euro. Ma non si è accorto che da quest'anno la patrimoniale c'è già, strutturale, annua, ben più pesante della sua e per nulla equa e solidale? Si chiama Imu, e colpisce tutte le case, di prima abitazione e di vacanza, umili e di lusso, di uso personale o d'impresa (con un'eccezione che vedremo). L'aliquota base oscilla tra il 4 ed il 7,6 per mille, alla quale i comuni dovranno aggiungere la loro quota. A Roma sarà per esempio del 5 per mille sulla prima casa. E si applicherà su una rendita già rivalutata del 60 per cento, e che il governo intende aumentare ancora fino ai «valori di mercato» (quali?). Vi risulta che questa patrimoniale, che non sarà per nulla «a bassa intensità», vada a ridurre le imposte sui redditi, a rilanciare i consumi, a migliorare la produttività, eccetera eccetera? Dunque non si capisce di che cosa questi illustri innamorati della patrimoniale stiano parlando. La casa è già sotto botta, con i risultati che sappiamo in termini di equità o, se preferite, di redistribuzione: un anziano che si affitta la prima abitazione per pagarsi l'ospizio pagherà la super-Imu del 7,6 per mille. Le fondazioni bancarie – che certo si occupano anche di beneficienza, ma poi sponsorizzano mostre e squadre di calcio e basket, e sono soprattutto gli azionisti delle banche – invece pagano zero. Ed a proposito di banche: per loro la rivalutazione delle rendite non è del 60, ma del 20 per cento. Torniamo all'idea di Abete: restano i patrimoni finanziari. Bene: il decreto salva-Italia fissa dal 2012 un'imposta proporzionale dello 0,10 per cento sul portafoglio titoli, che dal 2013 salirà allo 0,15. Siamo quindi già oltre l'uno per mille; e senza parlare la tassa sugli interessi portata, giustamente, al 20 per cento. Ripetiamo: prima di parlare, riflettano. Case e risparmi restano il vero ed unico paracadute sociale del Paese, come ha appena detto, il 4 aprile scorso, il vicedirettore generale della Banca d'Italia, Anna Maria Tarantola: «In queste situazioni di crisi diviene fondamentale la possibilità di utilizzare la ricchezza accumulata, finanziaria e reale». Ma soprattutto quelli della patrimoniale anziché giocare agli apprendisti stregoni si guardino intorno, si facciano una fila in un ufficio pubblico o si affaccino in una corsia d'ospedale. Ascoltino i discorsi della gente comune che affermano di voler rappresentare. E magari imparino anche un po' di aritmetica.