Nel 2002 bastano cinque minuti per far piovere soldi sui politici
Gli Stadio li hanno "usati" nel titolo di una canzone: «Dammi 5 minuti». Anche Gianna Nannini. E digitando le due parole su Google ecco apparire pasta, torta al cioccolato e addominali. Tutto rigorosamente in 5 minuti. Insomma potrà sembrare breve, ma in realtà si tratta di un tempo sufficiente per fare un sacco di cose. Lo sanno bene i deputati, 35, che nel 2002 decisero con un blitz in commissione Affari Costituzionali della Camera, di inserire in un provvedimento che aveva tutt'altro obiettivo, l'ennesimo ritocco al sistema dei rimborsi elettorali. Andiamo per ordine. La legge 157 del 1999 stabiliva che, per aver diritto a "spartirsi la torta", i movimenti e i partiti politici dovessero farne richiesta, «pena decadenza, entro dieci giorni dalla data di scadenza del termine per la presentazione delle liste» per il rinnovo di Camera, Senato, Parlamento europeo e consigli regionali. Ebbene, tra il 1999 e il 2002 si celebrano Europee (giugno 1999), Regionali (aprile 2000) e Politiche (maggio 2001). Succede che un paio di liste, "Vallée d'Aoste" (rinnovo della Camera) e "Biancofiore" (Assemblea regionale siciliana), non rispettino i termini. Un semplice problema burocratico visto che entrambe hanno la documentazione in regola per usufruire dei rimborsi. Così l'11 luglio 2002, la prima Commissione di Montecitorio, si trova a discutere la proposta di legge sul «Differimento del termine di cui all'articolo 1, comma 2, ultimo periodo, della legge 3 giugno 1999, n. 157». La seduta, si legge nel verbale, comincia alle 17.40. E termina alle 17.45. In 34 su 35 presenti votano a favore, solo il verde Marco Boato si astiene. Per poter celebrare questo breve rito 16 membri della Commissione assenti (tra i nomi noti Massimo D'Alema e Sandro Bondi), vengono sostituiti da altrettanti colleghi. Raccontata così sembra qualcosa di assolutamente regolare. Peccato che in quei 5 minuti, viene approvata anche una modifica al testo che è evidentemente il frutto di un accordo tra le varie forze politiche. E siccome il diavolo si nasconde nei dettagli, ecco arrivare l'ennesimo "regalo" ai partiti che siedono in Parlamento. All'ultimo minuto, infatti, viene inserito l'articolo 1 bis che apporta qualche "correttivo" alle leggi precedenti sui rimborsi elettorali. I quattro fondi previsti per il rinnovo di Camera, Senato, elezioni Europee e Regionali, diventano annuali e raddoppiano di valore. Il loro importo verrà infatti stabilito moltiplicando 1 euro (il testo del 1999 parlava di 4.000 lire) per il numero di cittadini iscritti nelle liste elettorali. Tutto verrà versato in un'unica soluzione a luglio, il tetto di spesa passa da 800 lire per ogni cittadino iscritto nelle liste elettorali a un euro e potranno partecipare alla ripartizione «i partiti e i movimenti che abbiano superato la soglia dell'1% dei voti validamente espressi in ambito nazionale» (nelle norme del 1993 la soglia era del 4%). Letto, approvato, si passa al Senato. Dove la discussione, però, arriva in Aula. È il 24 luglio, e il relatore del provvedimento, Lucio Malan (Fi), spiega con dovizia di particolari le ragioni del nuovo intervento. «Se non intervenissimo con una modifica sul meccanismo per il quale il primo anno viene rimborsato il 40% dell'intera somma - chiarisce - e negli anni seguenti il 15% per ogni anno, dopo tre anni in cui in media i partiti hanno ricevuto 167 miliardi di lire all'anno, scenderemmo nel 2002 ad una cifra di circa 60 miliardi di lire (quindi 31,5 milioni di euro) e nel 2003 a circa 33 milioni di euro. In altre parole, senza un intervento, il rimborso elettorale ai partiti, che costituisce di gran lunga la prima e quasi l'unica in termini di entità, fonte di finanziamento, scenderebbe del 64% rispetto ai tre anni precedenti». Che fare dunque? «Con l'approvazione di questa legge - prosegue Malan -, le erogazioni dei rimborsi elettorali ai partiti vedrebbero un aumento complessivo negli anni 2002 e 2003 pari a circa il 18% della somma erogata negli anni precedenti. Depurato dell'inflazione solo per i primi tre anni, giungerebbe all'11% in termini reali». Che dire, briciole. Ma la seduta di Palazzo Madama del 24 luglio 2002, così come la successiva del 25 in cui il provvedimento verrà approvato in via definitiva, si distingue per due aspetti: da un lato gli interventi di coloro che denunciano e criticano il blitz della Camera, dall'altro quelli di chi, folgorati sulla via di Damasco, arrivano al punto di attaccare il testo dopo averlo votato a Montecitorio. È il caso del gruppo della Margherita Dl - L'Ulivo. «Per il metodo e per i suoi contenuti - tuona la senatrice Albertina Soliani - il presente provvedimento non è adeguato ad affrontare questo problema ed anzi si rivela dannoso per il sistema politico». E via con il vecchio cavallo di battaglia prodiano della politica che deve essere finanziata direttamente dai cittadini. Piccolo particolare: due settimane prima, nella commissione Affari Costituzionali della Camera, il testo era passato con il voto favorevole di molti margheritini tra cui Gianclaudio Bressa, Dario Franceschini, Antonio Maccanico. Nonostante le conversioni dell'ultimo minuto la legge viene approvata. Secondo i dati della Corte dei Conti alle successive elezioni Europee del giugno 2004 a fronte di 87 milioni di euro di spese riconosciute, i partiti otterranno contributi statali per 246 milioni. Il 282% in più. Un percentuale che continuerà a crescere. (4-continua)