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«La sua scomparsa non è un giallo ma libera scelta»

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Èla chiave di lettura che Giovanna Leone, la nipote dell'economista scomparso nel nulla nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1987, dà all'enigma che riguarda lo zio e che a distanza di tanto tempo è rimasto irrisolto. «Qualunque sia la verità sui mio zio - afferma la nipote di Federico Caffè, docente di Scienze delle comunicazioni all'Università La Sapienza - noi la rispettiamo per il bene che gli abbiamo voluto. L'assenza è un lutto incommensurabile, ma non parliamo di gialli. Quella di mio zio è stata una libera scelta. E come tale merita rispetto». Di enigma irrisolto, invece, parla lo scrittore Ermanno Rea che ha dedicato un libro «L'ultima lezione» (edito da Einaudi) alla scomparsa dell'economista. «Il mistero continua ad alimentare il ricordo - afferma lo scrittore -. Scoprire anche solo i resti di Caffè, seppellirebbe definitivamente la vicenda». Ragiona Rea: «Federico Caffè, facendo perdere le tracce di sè il 15 aprile 1987 ha lasciato un' incognita. È stato bravo nel disegnare la sua eclissi. Oggi noi lo ricordiamo per questa ragione. Scoprirne anche solo le ossa ce lo farebbe seppellire definitivamente». Avrebbe 98 anni, oggi, Federico Caffè: ne aveva 73 quella mattina che, all'alba, uscì di casa nel quartiere di Monte Mario, a Roma, e fece perdere ogni traccia. Da allora si sono susseguite le ipotesi più disparate. Ripercorse anche dallo scrittore che oggi dice: «per me non ha più senso chiedersi se sia ancora in vita. Mi auguro che questa vicenda resti un giallo perchè era ciò che voleva Federico Caffè». Una convinzione che Rea ha maturato nel tempo, andando ad intervistare amici e colleghi. Lo scrittore andò anche nel convento certosino di Serra San Bruno, in Calabria, prendendo in considerazione anche la possibilità che Caffè avesse scelto la segregazione tra le mura di un convento. Il sottosegretario della congregazione che si occupa degli istituti di vita consacrata da lui interpellato, spiegò che «la Chiesa è disponibile a dare protezione a chi desidera isolarsi dal mondo, entrando come laico in una comunità di monaci o di eremi». Il 14 aprile del 1987, Federico Caffè lasciò sul tavolo chiavi, portafogli, libretto degli assegni, orologio. Proprio questi elementi hanno portato più di un collega ad ipotizzare che Federico Caffè si sia suicidato.

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