Il triennio d'oro dei rimborsi gonfiati
Cosìinvitante con quel "mille" che, si sa, è solo un sinonimo dell'infinito. Un limite illimitato che, proprio per questo, risveglia subito gli "appetiti" dei politici di ogni schieramento. Nel 2006 il milleproroghe partì con 40 articoli. Alla fine del suo iter parlamentare divennero più del doppio. «Rilevanti modifiche» le definì il relatore Francesco Nitto Palma (Fi) illustrando il testo alla Camera. Ma l'opposizione era di tutt'altro avviso. «È una locomotiva cui sono stati aggiunti, in considerazione della conclusione della legislatura, vagoni supplementari di ogni tipo» attaccò in Aula Roberto Zaccaria (Margherita). E forse non aveva tutti i torti. Era il 7 febbraio 2006. Quattro giorni dopo il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi avrebbe emanato il decreto di scioglimento di Camera e Senato. Occorreva fare in fretta, così il testo venne "caricato" a Palazzo Madama per arrivare, blindato, a Montecitorio. Discussione generale, nessuna modifica e voto di fiducia il 9 febbraio. Peccato che nel frattempo, all'interno del provvedimento, avesse trovato posto l'ennesima correzione al sistema di finanziamento dei partiti politici. Il numero dell'articolo è già di per sé emblematico: 39-quaterdecies. Quattordicesimo comma. È lì che la maggioranza decise di introdurre due novità. La prima fu quella di portare da 6.614 a 50.000 euro la soglia oltre la quale è obbligo dichiarare i finanziamenti privati ai partiti (fino ad allora veniva periodicamente rivalutata secondo gli indici Istat dei prezzi all'ingrosso ndr). La seconda, invece, eliminò la regola secondo cui l'erogazione annuale dei rimborsi veniva interrotta in caso di fine anticipata della legislatura. La speranza, oggi, è che i parlamentari fossero mossi da un eccesso di autostima. Non sapevano, infatti, cosa sarebbe accaduto nella legislatura successiva. Nel 2008, infatti, due anni dopo la vittoria di Romano Prodi, il Paese fu nuovamente chiamato alle urne. Così i partiti si trovarono ad incassare, contemporaneamente, i soldi delle elezioni 2006 e quelli del 2008. Le polemiche, allora, riguardarono più il primo intervento che il secondo. Così, spiegò Pierluigi Castagnetti (Margherita), si «rende invisibile l'86% dei contributi a candidati e partiti. Non sapremo mai da dove vengono i soldi con cui vengono fatte le campagne elettorali». Mentre Antonello Falomi (ex Ds) parlò di «legalizzazione delle tangenti». In pochi, pur votando contro, puntarono il dito contro il nuovo sistema di finanziamento. Che fu una sorta di manna dal cielo. Negli anni 2008-2009-2010, secondo la Corte dei Conti, i partiti hanno incassato 99,2 milioni di euro come tranche delle Politiche 2006 sommate a 100 milioni di euro per quelle del 2008. Avrebbero continuato a farlo se, in un sussulto di dignità, le forze politiche non avessero deciso di correre ai riparti nel 2010. La manovra finanziaria di quell'anno, infatti, ha ripristinato l'interruzione del pagamento in caso di fine anticipata della legislatura e ha applicato un taglio del 10% ai rimborsi. Che comunque rimangono e che a luglio porterà nelle casse dei partiti altri 100 milioni di euro (ultima tranche dei soldi dovuti per il 2008). Lega e Idv hanno annunciato che rinunceranno a quelle risorse. Il resto delle forze politiche non sembra intenzionato a farlo. La storia di questi ultimi 18 anni non fa ben sperare in vista del futuro. (4-fine)