La torta da 160 miliardi. Tutti d'accordo nel '97
Il meccanismo poteva anche funzionare. Quell'idea di legare i contributi statali alle spese effettivamente sostenute dai partiti politici durante la campagna elettorale sembrava un modo per evitare gli errori del passato. Tanto spendi, tanto ti rimborso. Ma nel 1993 il Parlamento non aveva fatto i conti con la propria "ingordigia". O forse sì visto che già allora qualcuno metteva in guardia: attenzione che il sistema dei rimborsi si trasformerà nel nuovo finanziamento pubblico! Grilli parlanti. Così dal dicembre 1993 si passò presto alle elezioni Politiche del 27-28 marzo 1994: 36 milioni di euro di spese riconosciute, 47 milioni di contributi statali. E poi alle Europee del 12 giugno 1994 (15 milioni e mezzo spesi, 23,5 rimborsati), alla Regionali del 23 aprile 1995 (7 milioni, 29 milioni), alla Politiche del 21 aprile 1996 (20 milioni, 47 milioni). Insomma già allora era chiaro che non c'era alcun automatismo tra fatture presentate e assegni staccati. Ma nel dicembre del 1996 la Camera decise di farsi un altro "regalo". La seduta è quella del 20 dicembre. A Palazzo Chigi siede Romano Prodi, a Montecitorio Luciano Violante. In Aula arriva la legge che stabilisce «Norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici». Due le novità da sottolineare. Anzitutto l'articolo 1 che stabilisce che «all'atto della dichiarazione annuale dei redditi delle persone fisiche, nonché della presentazione dei modelli 101 e 102, ciascun contribuente può destinare una quota pari allo 0,4 per cento dell'imposta sul reddito delle persone fisiche al finanziamento dei movimenti e dei partiti politici». Insomma, si introduce un 4 per mille a favore delle forze politiche. Il fondo, si legge all'articolo 3, «è ripartito tra movimenti o partiti politici in proporzione ai voti validi espressi in ambito nazionale a favore delle liste da essi presentate per la più recente elezione della Camera dei deputati». Tradotto: chi ha più voti prende di più. Ultima annotazione: «Per l'anno finanziario 1997, il ministero del Tesoro, con proprio decreto da adottare entro il 28 febbraio, ripartisce a titolo di prima erogazione una somma pari a 160 miliardi di lire». La legge stabilisce anche detrazioni per le «erogazioni liberali» di persone fisiche e società di capitali ed enti commerciali (il 22% dell'imposta lorda), e affida al tesoriere il compito di stilare rendiconto dettagliato dello stato patrimoniale del suo movimento o partito politico. Ma il dato emergente è uno: i rimborsi elettorali che pure continuano ad esistere e sono già "gonfiati", non bastano più, arrivano altri 160 miliardi di lire da spartirsi. Che la cosa sia un tantino strana lo si capisce dall'iter del provvedimento. Ripercorriamolo con le parole dell'allora relatore di maggioranza Sergio Sabbatini (Ds): «Esso è stato trasmesso alla Camera il 2 agosto dal Senato, che lo aveva approvato, peraltro all'unanimità, in sede legislativa presso la I Commissione affari costituzionai. Nella omonima Commissione alla Camera abbiamo avuto modo di esaminarlo in numerose sedute: il 16 ed il 17 settembre, quando hanno preso la parola circa 20 colleghi, ed in quest'ultima settimana, quando sono intervenuti altri 22 deputati. Nel frattempo si sono tenute dodici-quindici riunioni del Comitato ristretto e nel corso dei mesi si sono succedute moltissime consultazioni tra i gruppi parlamentari e tra i rappresentanti dei gruppi in Commissione». Il risultato di tutto questo faticoso lavoro che ha coinvolto meno di 100 deputati su 630 è ovviamente un grande e generale accordo. Al punto che la discussione generale in Aula viene contingentata: un'ora per tutti i gruppi parlamentari, mezz'ora per i relatori e mezz'ora per i deputati in dissenso rispetto ai loro partiti. Trovarne. Fatto sta che nelle tre ore di discussione (si comincia intorno alle 12.30 si finisce alle 17.30) qualcuno alza la voce. È il caso di Marco Taradash (FI) che, unico a presentare una questione pregiudiziale, si trova anche lui vittima del contingentamento. Col risultato che ruberà minuti agli 8 concessi al suo gruppo. «La sua affermazione - esordisce - rende ancora più oscena questa seduta, perché che lei dica che la pregiudiziale è nel contingentamento è un elemento di oscenità ancora più grave della discussione in generale». Poi l'attacco più duro a Violante: «Vuole infatti impedire al paese di sapere che stiamo per introdurre il finanziamento pubblico. 160 miliardi di denaro pubblico l'anno prossimo e 110 dal 1998 in avanti (tale era il tetto fissato dalla legge ndr). Sono le sue responsabilità; questo furto di Natale è anzitutto sua responsabilità, signor Presidente!» E ancora: «Con il provvedimento in esame registriamo il finanziamento pubblico sotto la formula ipocrita di finanziamento volontario». La sua resterà una voce pressoché isolata. La frase più ripetuta durante la seduta sarà, infatti, «la politica costa». Giusto quindi che gli italiani contribuiscano di tasca propria. Qualcuno, come il leghista Maurizio Balocchi, rinfaccerà a Taradash il suo silenzio davanti ai 10 miliardi di lire a favore dei Radicali (la storia si ripete sempre uguale a se stessa). Ma gli interventi più interessanti sono sicuramente quelli dei rappresentanti dei partiti maggiori: Forza Italia e Ds. Per gli azzurri prende la parola il capogruppo Beppe Pisanu: «Il provvedimento che stiamo per votare, lo hanno riconosciuto il relatore per la maggioranza e il relatore di minoranza, può essere considerato come uno strumento inadeguato e di carattere provvisorio, sia perché copre in misura troppo limitata i costi reali dell'attività politica nazionale nel suo insieme (...) sia perché non liberalizza in maniera appropriata la contribuzione volontaria». Tocca invece a Massimo D'Alema, al tempo segretario del partito, presentare le ragioni dei Democratici di Sinistra: «Voteremo a favore perché siamo convinti che in Italia, così come in tutti gli altri paesi del mondo democratico, si debba tornare ad avere una legge per il finanziamento della politica (...) C'è un interesse pubblico evidente a che i partiti siano messi nelle condizioni di funzionare in modo trasparente e controllato». Quella seduta si concluse con una votazione bulgara: 466 presenti, 31 astenuti, 422 sì, 13 no. Per molti fu l'inizio della fine. Alle elezioni successive, Europee di giugno 1999, a fronte di 40 milioni di euro di spese riconosciute arrivarono 86 milioni di contributi statali. Ma nel frattempo era già arrivata un'altra modifica. Peggiore di quella del 1997. (2-continua)