Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

La legge elettorale divide ABC

default_image

  • a
  • a
  • a

I partiti provano a battere un colpo. I "tecnici" di Pdl, Pd e Terzo polo annunciano l'accordo: la bozza sulle riforme costituzionali c'è (in realtà un'intesa di massima era stata raggiunta già due settimane fa), è pronta per essere mostrata ai rispettivi gruppi e già lunedì potrebbe essere presentata in Senato. Tutto già noto: si dà una sforbiciatina al numero dei parlamentari (i deputati saranno 508 e i senatori 254) e si abbassa l'età minima per l'eleggibilità (21 anni per la Camera e 35 per il Senato). Tutto è all'insegna della velocità: si introduce il bicameralismo cosiddetto «eventuale», con i disegni di legge che verranno presentati al presidente di una delle due Camere: a Montecitorio quelli che riguardano le materie di legislazione esclusiva dello Stato, a Palazzo Madama quelli su temi di competenza concorrente tra Stato e Regioni. Il governo potrà porre un termine massimo per l'approvazione delle leggi ritenute essenziali e le Camere (a maggioranza assoluta) potranno fissare la data di promulgazione di una legge appena varata, superando la necessità che sia il presidente della Repubblica a farlo. Ampio anche il paragrafo che riguarda l'esecutivo, con due elementi di spicco: l'introduzione della «fiducia costruttiva» e l'attribuzione al presidente del Consiglio del potere di revocare i ministri. Il primo elemento consente alle Camere di sfiduciare un premier, a patto di presentare una mozione di sfiducia che già indichi chi sarà il nuovo capo del governo e che venga approvata con la maggioranza assoluta. Il presidente del Consiglio, però, «qualora una delle Camere neghi la fiducia, può chiedere al Capo dello Stato lo scioglimento delle Camere o di una sola di esse». C'è ancora un nodo da sciogliere, quello più complesso. La riforma della legge elettorale. Pdl, Pd e Terzo polo non sono mai stati così distanti. Così, uno degli "sherpa" descrive la posizione dei partiti al termine dell'ennesima riunione. Molti esponenti del centrosinistra, infatti, non avrebbero gradito quello che il 3 aprile scorso venne definito «un punto di caduta» tra le forze che sostengono il governo Monti e cioè la ripartizione dei seggi, assegnati con i resti, in circoscrizioni anziché nel collegio unico nazionale. L'ipotesi, che avrebbe tranquillizzato gli ex An "capitanati" da Ignazio La Russa (che da allora prende parte ai "caminetti" sulle riforme) avrebbe fatto andare però su tutte le furie i centristi che vorrebbero tornare all'idea del collegio unico nazionale per avere un sistema più in senso "proporzionale". Con la modifica del 3 aprile, taglia corto un tecnico "di rango", «non si fa altro che scimmiottare il modello spagnolo e a noi non va bene». In più, ci sarebbero i supporter del maggioritario all'interno del Pd già sul piede di guerra. La Russa, che dice di essere pronto ad incontrare i "malpancisti" del suo partito, per spiegare loro che «non si può tornare ad un sistema da prima Repubblica», avverte che si sta ragionando su un premio di maggioranza tra il 5 e il 7%, pari a circa 36 seggi su 500 deputati. I tecnici torneranno a riunirsi martedì prossimo. La partita si gioca «sulla quantità e qualità dei correttivi maggioritari», spiega Ferdinando Adornato, tecnico Udc, intervenuto al Forum «Legge elettorale tra bipolarismo, governabilità e rappresentatività», promosso dalla fondazione Nuova Italia a palazzo Wedekind e moderato dal direttore de Il Tempo, Mario Sechi. «Ciascuno - avverte - deve cedere qualcosa». Anche Luciano Violante (Pd) è moderatamente ottimista: «Abbiamo sei mesi di lavoro reale per riformare la legge elettorale prima della fine della legislatura. Determinerà - spiega - non solo chi vince o perde ma sancirà il cambiamento dell'intero sistema politico». È d'accordo anche Gaetano Quagliariello (Pdl). Il suo obiettivo dichiarato è quello di salvare il bipolarismo («ma diventa difficile con dei partiti che sono diventati piccoli») e restituire loro credibilità. La riforma, «che non prevede l'obbligo di coalizione e riporta al centro le singole forze politiche», va in questa direzione. «È un miracolo, altro che cosa minimalista», assicura. Se il miracolo si avvererà dipenderà anche dalla riforma sui finanziamenti pubblici. È Gianni Alemanno, presidente di Nuova Italia, a bacchettare il trio ABC: «Penso che bisogna fare di più e ridurre a metà i rimborsi», spiega. Di più: «All'ultima rata del finanziamento i partiti non devono rinunciare, ma creare con quei 100 milioni un fondo di solidarietà che contribuisca a ricreare un legame tra i cittadini e la politica».

Dai blog