L'involuzione della Lega e le previsioni di Miglio
Il rancore piuttosto che l'orgoglio. Il risentimento e la rabbia invece del progetto. Ma forse in questo momento dalla Lega Nord non si può pretendere di più. E così Roberto Maroni, leader in pectore del Carroccio, l'altra sera a Bergamo ha sfoderato tutto il repertorio retorico leghista al fine di compattare la base scossa dalla rovinosa caduta di Umberto Bossi e dei suoi più intimi sodali. Ma, dato per scontato il richiamo all'unità e alla pulizia, dall'ex-ministro dell'Interno ci si attendeva qualcosa di più. E proprio perché è stato uomo di governo e mente politica di un movimento sbandato almeno dal 2004 dopo la malattia del Capo. Maroni, invece, ha deluso profondamente. Non tanto perché si è ben guardato dal formulare valutazioni politiche di carattere generale (la solita stoccata contro Monti, tutt'altro che fuori posto), ma per il fatto che ha ribadito concetti (lisi e sgangherati) che non appartengono più da tempo a quella Lega «Potentissima» dei primordi. Sorprendendo chi ha seguito negli ultimi anni l'evoluzione dei leghisti verso l'acquisizione di una politica più realista, comprovata dall'attività di numerosi amministratori, tra i quali Tosi e Zaia, Maroni ha rispolverato l'armamentario secessionista dando l'impressione che davvero l'aspirazione del movimento sia la conquista dell'egemonia nel Nord preludio alla costruzione della «nazione Padana», libera ed indipendente. Se questo è il nuovo che avanza vuol dire che la Lega si accontenta degli «avanzi» del bossismo più deteriore e becero. Immaginavamo, illudendoci, che gente come Maroni facesse fare un balzo in avanti al Carroccio, invece siamo costretti a registrare che gli antichi tic, in assenza di una elaborazione politica moderna ancorché non sofisticata, restano sempre gli stessi e sono i pilastri di una costruzione fragile che si nutre di iperboli e di miti sconfitti come il federalismo che non mi sembra attragga più nessuno dopo la inspiegabile sbornia che per oltre un decennio ha condizionato tutte le forze politiche. Tuttavia, si fosse limitato alla prospettiva federalista, culturalmente nobilissima ma politicamente debolissima, Maroni avrebbe comunque dato un senso alle sue parole e la sua ascesa sarebbe stata segnata da un continuismo comprensibile sia pure non apprezzabile. Ma rifarsi al secessionismo d'antan, alla «padanità» elevata a riferimento sentimentale e geo-politico, è stata una sconfortante ammissione di povertà progettuale che non salverà la Lega dalle secche nelle quale l'ha portata Bossi con i suoi furori strapaesani e il suo pragmatismo contraddittorio. Si potrebbe dire che la «profezia» di Gianfranco Miglio del 1994 si è avverata. Il grande e compianto politologo, sottolineando come la Lega si sarebbe disfatta quando le sue fortune e quelle «personali» di Bossi non fossero più coincise, prevedeva che «soltanto un nuovo segretario, libero dai rancori e dalle meschinità che attanagliano l'attuale, potrebbe guidare il movimento, lungo i pochi e impervi sentieri che sembrano disponibili». E se anche questo disegno si realizzasse, Miglio era convinto che «si debba escludere per la Lega un avvenire "italiano", e forse anche soltanto "padano", e quindi una prospettiva specificamente "politica"», mancando per questo le condizioni. Del tutto involontariamente, Maroni, dopo 18 anni, ha dato ragione a Miglio. Lui potrebbe essere il segretario che lo studioso prevedeva, ma non sembra abbia maturato la consapevolezza di far uscire il movimento dalle strettoie dell'impoliticità. Rinchiudendolo in una prospettiva padana, illuderà la base militante che l'indefinita regione nordica possa diventare come la Baviera. Anzi, qualcosa di più di un lander federato: una nazione libera e indipendente. Vogliamo credere che la nebbia politica bergamasca abbia offuscato per una sera il solito intelligente ex-ministro che non è mai sembrato eccessivamente incline a mischiare la politica con le ampolle e le regate rigeneratrici. Non vorremmo che cominciasse ora agitando scope che non s'addicono a chi vuole avere un ruolo in Italia e non nell'inesistente Padania.