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Nemmeno Tanzania e Cipro si sono fidati di Belsito

Un'immagine del tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito

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La banca che doveva ricevere i soldi della Lega per le operazioni in Tanzania e a Cipro non si fidò dell'operazione e rimandò indietro i soldi. Il motivo? Poca trasparenza. I pm continuano a seguire il filo che parte dalle casse della Lega. E per ora sarebbero giunti a una conferma. La Lega Nord voleva investire 4,5 milioni di euro in Africa attraverso la Fbme Bank Ltd. L'istituto, nato come succursale della Federal Bank of Lebanon Sal, ha una sede a Cipro dal 1982 e nel 1986 ha stabilito la sua sede legale alle isole Cayman per portarla nel 2003 in Tanzania. Da quella data l'istituto di credito con sede a Cipro è diventato una filiale di quella africana e proprio nella sede cipriota sono transitati i soldi della Lega Nord. L'indagine va avanti. «Non ci sono nuovi indagati rispetto a quelli indicati al momento delle perquisizioni. Lo escludo in modo più assoluto». Ha voluto sgombrare il campo da equivoci il procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati, che ha smentito le indiscrezioni su nuovi indagati nell'inchiesta sui rimborsi elettorali della Lega Nord. Inoltre, ha aggiunto il procuratore, «non sono previsti vertici tra le Procure che indagano sulla vicenda. Non ce n'è nessuna necessità», ha chiarito Bruti Liberati, aggiungendo che ci sono normali consultazioni tra i pubblici ministeri. Intanto, sempre ieri mattina, il pm di Milano Paolo Filippini ha sentito come testimone Alessandro Marmello, l'ex autista di Renzo Bossi, che ha documentato in un video apparso sul sito Oggi.it un passaggio di denaro tra lui e il «Trota». Soldi che, secondo quanto raccontato dallo stesso Marmello, provenivano dai rimborsi elettorali della Lega Nord. Al pm l'uomo ha confermato quanto confidato alla testata on line, spiegando di essere stato per molti mesi il «cassiere» del figlio di Umberto Bossi, al quale dava il denaro necessario a sostenere le spese di ordinaria amministrazione. L'ex autista, stando a quanto da lui stesso riferito al pm, gestiva le spese vive, secondo un meccanismo di anticipazione. Gli venivano cioè dati dei soldi periodicamente e, quando finivano, certificava le spese con scontrini e fatture e prendeva possesso di un altro «tesoretto» da versare a Renzo Bossi, a seconda delle sue necessità. Le disposizioni sul denaro per Bossi jr gli venivano, tra l'altro, da Nadia Dagrada e Daniela Cantamessa, due impiegate della segreteria amministrativa del Carroccio, mentre non riceveva ordini dai vertici del partito. Gli inquirenti hanno deciso di sentire Marmello anche per fare luce sulla genesi del filmato che ritrae il passaggio di denaro tra l'ex autista e Renzo Bossi e per comprendere per quale ragione abbia sentito la necessità di tutelarsi in questo modo su quanto accadeva all'interno della Lega. Secondo quello che ha raccontato Marmello il filmato sarebbe stato girato 4 o 5 mesi fa. In un'ora di deposizione nella caserma di via Fabio Filzi della Guardia di Finanza, Marmello ha spiegato che questo denaro, in genere mille euro al mese, veniva utilizzato dal giovane Bossi anche per pranzi, cene, benzina e altre spese per l'auto, come il lavaggio. Identico comportamento sarebbe stato mantenuto dai suoi predecessori, ha spiegato l'ex autista agli inquirenti, aggiungendo che non c'era un «tetto» per le spese del figlio del Senatùr, Renzo Bossi. Ora gli investigatori vogliono capire se chi riceveva il denaro dei rimborsi elettorali, non solo Renzo, ma anche altri come Rosi Mauro e la moglie di Bossi Manuela Marrone, avesse la consapevolezza della loro provenienza. Per ipotizzare una loro iscrizione nel registro degli indagati, bisogna infatti dimostrare l'elemento psicologico del reato, quindi l'essere stati a conoscenza dell'origine del denaro. Il lavoro va avanti anche alla Procura di Reggio Calabria. È nelle memorie degli hard disk di computer, tablet e cellulari che gli investigatori sperano, e contano, di trovare non solo conferme alle ipotesi portate avanti sino ad ora, ma anche ulteriori elementi. Tutto il materiale informatico, d'accordo con le Procure di Milano e Napoli, è stato fatto sequestrare dalla Dda di Reggio e ieri la prima massa di documenti è arrivata in Procura. Solo in serata il pm titolare dell'inchiesta, Giuseppe Lombardo, ha potuto cominciare a spulciare tra le carte per vedere quello che contengono. Una parte del lavoro sarà svolto dalla polizia giudiziaria: dalla Dia, che ha condotto le indagini fino a questo momento, e dalla polizia postale per quanto riguarda il materiale informatico.

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