La commedia amara dei leghisti tra magia, amanti e n'drangheta
Una storiaccia che se non fosse per i presunti e possibili agganci con la 'ndrangheta avrebbe soprattutto i contorni di una commedia, e neppure di quelle di prim'ordine. L'inchiesta sui fondi neri del Carroccio usati per le operazioni più strane e per foraggiare figli, amanti e sfizi muliebri più va avanti e più diventa uno spaccato di piccola borghesia di estrema provincia. Le figure in commedia ci sono tutte. A iniziare dal patriarca, il padre ormai anziano e malato che fa la voce grossa quando si trova fuori dalla famiglia ma in casa viene comandato a bacchetta da tutti. E forse – ma questo lo accerterà l'inchiesta – viene addirittura turlupinato a sua insaputa. Circondato da quel «cerchio magico» che già solo nel nome evoca battute e sfottò a buon mercato. Umberto Bossi, il leader carismatico del Carroccio, il sacerdote del celodurismo leghista, oggi appare un pugile suonato, frastornato da tutto quello che, giorno dopo giorno, gli si sta rovesciando addosso. A lui però va il merito di aver dato subito l'esempio di voler fare pulizia, dimettendosi da segretario appena esplosa l'inchiesta. Cosa che ieri ha fatto anche il figlio Renzo, lasciando l'incarico di consigliere regionale della Lombardia. Ma anche in una decisione «nobile» come questa non è mancata la pennellata da commedia. Il padre, l'Umbert duro e puro, lo ha difeso e ammirato. Poteva fermarsi qui, invece ha aggiunto una frase che è subito diventata oggetto di sorrisi: «Erano mesi che mi diceva che era stufo di stare in Regione». Il capogruppo della Lega al Pirellone, Stefano Galli, ha però replicato così: «A me non aveva mai manifestato la voglia di lasciare il consiglio regionale, poi se ne ha parlato in famiglia, questo non lo so». Renzo, detto il Trota, tanto ingenuo e sprovveduto comunque non è sembrato. Anche se al ministero dell'Istruzione hanno ormai un faldone con le carte dei suoi esami di maturità andati male e anche se ieri ha confermato il suo difficile rapporto con i congiuntivi: «Faccio un passo indietro senza che nessuno me l'ha chiesto». Però, secondo le carte dell'inchiesta e la denuncia dell'uomo che per anni gli ha fatto da autista, è riuscito a farsi mantenere con i soldi del partito. In più gli sarebbe stata pagato un corso di laurea in Inghilterra (130 mila euro) e varie auto tra cui una Audi A6. Gli altri tre figli non hanno brillato quanto lui ma le loro belle figure non se le sono fatte mancare. Il primogenito, Riccardo, avuto dalla prima moglie, è stato per un po' assistente di Francesco Speroni al Parlamento europeo, sempre nella logica del «tengo famiglia». Da sistemare. Poi ha litigato con l'Umberto perché voleva partecipare all'Isola dei Famosi. Il terzo, Roberto Libertà, si è invece fatto notare per avere tirato un gavettone di acqua e candeggina contro un militante della sinistra che stava attaccando manifesti. Il quarto, Eridano Sirio, è ancora troppo piccolo per riuscire a far parlare di sé. Il capitolo delle donne della Commedia leghista è forse quello più affascinante. C'è la moglie di Umberto, Manuela Marrone, proprietaria di una scuola elementare, la Bosina, che di soldi negli anni ne ha macinati davvero tanti. Secondo il racconto della segretaria le sarebbero stati versati tra gli 80 e i 100 mila euro direttamente dai fondi del partito. E ci sarebbero anche i soldi serviti a ristrutturare un terrazzo della casa di Gemonio. Ma dove finisce l'inchiesta inizia la farsa. Perché da alcune intercettazioni tra l'ex tesoriere Francesco Belsito e la segretaria amministrativa Nadia Dagrada salta fuori che la moglie di Bossi è una specie di fattucchiera che dorme in mansarda su una brandina attorniata da libri di magia e di esoterismo. E difatti è lei che gestisce il famoso Cerchio Magico dei Bossi insieme all'altra donna della «famiglia», la Rosi Mauro, autentica ombra del capo, capace addirittura, durante la sua malattia, di affittare una casa vicino a quella dell'Umberto a Gemonio per potergli stare più vicino. E, secondo gli investigatori, riuscire anche a strappare qualche euro in più al partito. Magari per il suo amico, ex poliziotto ed ex guardia del corpo, Pier Moscovini. Perché nel calderone dei soldi sottratti alla Lega ci sono anche quelli serviti a pagare la laurea in Svizzera (60 mila euro) al presunto compagno dell'attuale vicepresidente del Senato. Un bel tipo Pier Moscovini: si è congedato dalla polizia per essere assunto in Senato come consulente ma soprattutto è riuscito a realizzare il suo sogno, quello di fare il cantante. Tanto che ha addirittura inciso un cd dall'intrigante titolo «Kooly noody» che in inglese non vuol dire un bel niente ma in italiano un certo effetto lo fa. E, ovviamente, il cd è finito su tutte le bancarelle delle feste leghiste. Ma Rosi Mauro è anche la fondatrice del sindacato Padano, pochi iscritti ma molti soldi: anche per il Sin. Pa. sono infatti «piovuti» dalle casse del partito ben 60 mila euro. Poi ci sono le segretarie del capo, che appena «beccate» dagli investigatori hanno spifferato tutto, ma proprio tutto su quello che – irregolarmente – facevano. Nadia Dagrada ha fatto la gioia dei magistrati, riempiendo pagine e pagine di verbali e lo stesso ha fatto l'ex segretaria amministrativa Helga Giordano, contabile in via Bellerio per ben 7 anni. Appuntamenti, cifre, appalti, tutto. E una gran vogli di denunciare l'ha avuta anche l'autista di Renzo Bossi, che ha addirittura registrato e filmato uno dei tanti versamenti al Trota. E qui, dove finisce la commedia ricomincia l'inchiesta. Che ruota attorno all'ex tesoriere Francesco Belsito e ai suoi presunti contatti con personaggi della 'ndrangheta. Che avrebbero sfruttato la Lega per riciclare e ripulire sodi.