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Il peccato originale dell'Italia

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Il palazzo del Quirinale

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Ma che cosa abbiamo fatto noi italiani per meritarci il disastro di oggi? Quale sarà mai la colpa originaria che può esserci imputata? Quale oscuro, fatale, perverso aspetto della nostra storia ci vieta di riconoscerla? La risposta, come la famosa “lettera rubata” dell'omonimo racconto di Edgar Allan Poe, sta forse squadernata davanti ai nostri occhi, esposta in bella mostra davanti agli sguardi di tutti noi, ma forse proprio per questo destinata a sfuggire agli osservatori più occhiuti e sospettosi. Non è escluso, cioè, che si tratti di una di quelle grandiose “ovvietà” che riescono a celarsi appunto sotto la loro sfacciata evidenza. E quale potrebbe mai essere questa ovvietà? Irresistibile è la tentazione di immaginare che il vero peccato originale della nostra Repubblica sia il grande mito su cui essa è stata edificata, e che da ormai sessant'anni e rotti viene perpetuato, più o meno pomposamente, da tutta la nostra cultura istituzionale. Questo mito, come ogni vero mito, è un impasto di verità e di menzogna. L'elemento veridico dice che la nostra Repubblica, fatto assolutamente inoppugnabile, nacque dal crollo del regime fascista, L'elemento menzognero aggiunge che a determinare quel crollo fu l'azione delle forze nazionali antifasciste. Quale pudibonda fanfaluca! Il fascismo non fu abbattuto dall'antifascismo, cioè dai suoi nemici interni, dei quali il regime si era liberato molto prima di crollare sbattendoli in galera, mandandoli in esilio o riducendoli alla clandestinità, ma dalla catastrofica sconfitta con cui si concluse, per noi, la seconda guerra mondiale: un evento al quale le forze antifasciste nazionali poterono offrire soltanto un contributo non meno onorevole e generoso che sostanzialmente irrilevante. Questo è un dato di fatto storico che nessuna fiaba ufficiale sulle origini della nostra Repubblica potrà mai riuscire a cancellare. Eppure proprio la leggenda dell'abbattimento del fascismo da parte dell'antifascismo è il motivo dominante della nostra retorica nazionale. Del quale fa parte ovviamente la fiaba secondo la quale la guerra partigiana avrebbe contribuito in qualche misura ad affrettare sia la caduta del fascismo sia la liberazione dell'Italia dai tedeschi e dai fascisti. Quando la sola vera causa dell'una e dell'altra fu la vittoria degli angloamericani e l'avanzata delle loro armate dalla Sicilia al Po. Il nostro peccato originale è insomma un segreto di Pulcinella: ossia il vano tentativo di celare il fatto che la nostra repubblica democratica, lungi dall'esser nata, come si pretende e si insegna, dalla Resistenza antifascista, fu al contrario un effetto della disastrosa sconfitta dell'Italia fascista nella seconda guerra mondiale, nonché del fatto che a liberarci, per nostra fortuna, non fu l'Armata rossa, come avvenne in tanti paesi dell'est europeo, ma, essenzialmente, la Quinta Armata degli Stati Uniti. Ma che cosa c'entra – si dirà – questo vecchio mito fondativo della nostra Repubblica col presente sfascio politico del Paese? Che cosa c'entri esattamente non so, né saprei dire perché. Ma sono sicuro che c'entra. E questa certezza deriva dal convincimento che in tutte le umane famiglie una così imperterrita adesione alla menzogna su un evento decisivo come la loro nascita non può non produrre alla fine disastri non meno fragorosi di quelli che invano. con quella fandonia, ci si impegnò a occultare. Detto più brutalmente: una società che pur essendo divisa da mille discordie e differenze, contraddizioni e difformità, disparità e squilibri, si mostri tuttavia concorde e unita nell'intento di favorire il perpetuarsi, sulle proprie origini, di una pia frottola, non potrà sottrarsi indefinitamente al dovere di fare sul serio quei conti col proprio passato che essa ha sempre evitato di fare. Quello che si sta svolgendo sotto i nostri poveri occhi di spettatori più o meno candidi di questa estrema congiuntura italica si direbbe la mortificante parodia di un dramma socio-politico. Il senso di questa parodia sembrerebbe fra l'altro imcompatibile col sospetto che essa potrebb'essere semplicemente un effetto della suddetta grande menzogna storica. Eppure proprio questo sospetto ptrebbe restituire ai farseschi eventi del nostro presente la loro natura di tragedia. Se infatti l'essenza del tragico consiste, secondo il noto insegnamento di Aristotele, nel procurarsi la propria rovina tentando di evitarla, allora nulla dovrebbe sembrarci più tragico di un disastro generato appunto, come le odierme convulasioni nazionali, dall'intendo di sventarlo mediante una frottola.

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