di Paolo Cirino Pomicino Spiace sottolineare errori ed omissioni di un governo che si ritiene utile per il Paese.
Ladura manovra correttiva sui conti pubblici, ed in particolare la riforma previdenziale, ha un senso se accompagnata da politiche economiche orientate a far ripartire la crescita e la competitività del Paese che diversamente morirà per asfissia. Non c'è dubbio, ad esempio, che il prezzo della benzina, con le sue ricadute sulle bollette della luce e del gas, abbia raggiunto livelli intollerabili per le famiglie e per le imprese. Detto questo, però, le sue possibili correzioni devono essere orientate a favorire crescita, competitività e occupazione. E invece accade il contrario. Negli ultimi 6 mesi la scelta del governo di aumentare le accise su di un litro di benzina di oltre il 20% e sul gasolio del 23% per finanziare addirittura il fondo unico per lo spettacolo è stato un errore di politica economica. L'aumento della tassazione sui carburanti, infatti, aggrava una recessione che già viaggia verso una riduzione del Pil del 3% come diciamo, inascoltati, da diversi mesi. Tutte le maggiori entrate rischiano, così, di riuscire dai buchi che la recessione provoca nel gettito tributario complessivo. Ma nei mesi scorsi non c'è stato solo l'aumento delle accise. Nella finanziaria 2008 c'è una norma approvata all'unanimità su nostra proposta che ordinava al ministero dell'economia di ritornare ai consumatori, con cadenza trimestrale, il maggior gettito derivante dall'aumento dell'Iva su ogni litro di benzina. Quando aumenta, infatti, il prezzo del barile, aumenta anche il prezzo alla pompa e aumenta così il valore dell'Iva che viene versata allo Stato. Questa maggiore Iva doveva essere restituita ai consumatori con una riduzione delle accise di pari importo così da mantenere stabile il prezzo alla pompa eliminando tutti i guasti descritti prima nell'economia reale. I governi che si sono succeduti, invece, non hanno applicato questa norma sostenendo che, essendosi ridotti i consumi, alla fine di ogni anno il maggior gettito dell'Iva per l'aumento del prezzo del barile compensava la riduzione dei consumi. Questo parallelo tra riduzione dei consumi e maggior gettito Iva da aumento del prezzo del barile lo può fare un contabile non un ministro dell'economia perché quella norma introdotta nel 2008 non doveva garantire un equilibrio di bilancio quanto, piuttosto, una stabilità dei costi energetici per famiglie e imprese. Se fossero sorti buchi di bilancio per la riduzione dei consumi questi dovevano essere compensati o con riduzione di spese correnti o tassando consumi che non intaccavano né la competitività delle imprese nè consumi pressoché obbligatori per le famiglie come la benzina che determina a cascata, l'aumento delle bollette elettriche. Questo errore rischia di ripetersi con le energie rinnovabili. L'Italia, nonostante i progressi degli ultimi anni, ha una produzione energetica da fonti rinnovabili che è ancora del 4,4%, la metà esatta della Germania (8,8%) e di 2/3 di quella francese (6,4%). In più il progresso delle fonti rinnovabili in Italia ha prodotto, negli ultimi 2 anni, 150mila nuovi posti di lavoro e sta lentissimamente riducendo la nostra dipendenza energetica da altre fonti tanto che l'Enel ha gettato un grido di allarme sulla sovraproduzione di energia elettrica dalle centrali tradizionali dovuta al combinato disposto della riduzione dei consumi ( recessione) e dell'aumento delle quote prodotte da fonti rinnovabili. Nel medio periodo gli investimenti nell'energia pulita ridurranno i costi per le imprese e per le famiglie oltre ai vantaggi ambientali ben noti. Per concludere alcuni balzelli che oggi pesano sui carburanti (a cominciare da quello per la guerra in Abissinia) vanno reinseriti nell'unicità del bilancio pubblico e compensati o da minori spese o da tassazioni su quei consumi che non interferiscono sul sistema produttivo italiano ( tabacchi, superalcolici e via di questo passo). Se in questo sforzo dovesse essere necessaria anche una sforbiciatina agli incentivi sulle rinnovabili questa potrebbe essere tollerata a condizione che non si affondi un sistema che sta dando respiro all'occupazione ed alla competitività delle imprese. È tempo, insomma, che l'Italia abbia una politica economica degna di questo nome e orientata alla crescita e non solo al mito, peraltro irraggiungibile nel 2013, del pareggio di bilancio.