Bossi lascia in lacrime: "Devo farlo" Un triumvirato alla guida della Lega
Umberto Bossi lascia. Dopo 23 anni, piegato da un'inchiesta giudiziaria che ha squassato il partito e la sua famiglia, si è dimesso da segretario del partito. I suoi uomini però, in un consiglio federale che cambia definitivamente il volto del Carroccio, lo hanno eletto presidente. E lui, il leader di sempre del popolo leghista, in un colloquio con il direttore della «Padania» in edicola oggi, spiega che comunque non sparirà: «Il fatto che io abbia dato le dimissioni non vuol dire che io scompaia. Se lo scordino. Resto nella Lega, da ultimo sostenitore o da segretario io resto sempre a disposizione della causa. Da domani mi chiameranno militante. Anzi, no. Semplice simpatizzante». Sono da poco passate le quattro e mezza del pomeriggio quando le agenzie scrivono che Umberto Bossi si dimette. Il leader leghista spiega che che le sue sono «dimissioni irrevocabili». «Mi dimetto per il bene del movimento e dei militanti – prosegue – È giusto fare un passo indietro, la priorità è il bene della Lega e continuare la battaglia. Tra la Lega e la mia famiglia scelgo la Lega. E chi sbaglia è giusto che paghi, qualunque sia il cognome che eventualmente porta». Una decisione personale, spiegherà più tardi l'eurodeputato Matteo Salvini «nessuno ha chiesto le sue dimissioni, lui è arrivato già convinto, con una scelta decisa e sofferta». E quanto gli sia costata quella scelta Bossi lo racconta in serata a Tgcom24: «Le indagini porteranno a controllare tutto. Io non avevo nessuna voglia di star lì, perché è giusto che ci sia mano libera per lavorare. Io ero solo d'intralcio, era inutile per me restare. Sono andato al consiglio, nessuno mi ha chiesto le dimissioni ma mi sembrava doveroso farlo. Maroni traditore? Non è così. Adesso c'è stato questo pasticcio messo in piedi dall'amministratore. Bisogna uscire, fare chiarezza e far tornare i soldi. Mi sono messo a piangere, poi ho smesso perché ho visto che piangevano tutti». Al posto del segretario c'è un trumvirato, che rappresenta le diverse anime del partito e che traghetterà il Carroccio fino al prossimo congresso, in autunno. C'è Maroni, l'unico che si è posto in conflitto con il «capo» e che ha animato una lunga stagione di scontro fino alla tregua, apparente, firmata a fine estate. È la figura più apprezzata all'esterno, quello che ha più chance di prendere in mano il Carroccio. Anche se lo stesso Maroni, uscendo a tarda sera da via Bellerio racconterà di aver detto a Bossi che se si ripresenterà per fare il segretario lui lo sosterrà. Frase che non lo garantisce comunque dagli insulti della folla di leghisti che dal primo pomeriggio sono sotto la sede della Lega e che lo apostrofano con un «buffone, traditore». Oggi comunque Bobo e l'Umberto si incontreranno di nuovo in via Bellerio. Maroni sembra anche quello più deciso ad andare fino in fondo per fare chiarezza: «Adesso ci mettiamo al lavoro per fare pulizia, andando a guardare i conti e aprendo tutti i cassetti. È importante anche che sia stato dato incarico a una società di revisione esterna per la verifica patrimoniale». Accanto a Maroni c'è Roberto Calderoli un fedelissimo di Bossi anche se non all'interno del famoso Cerchio magico. Però è presidente del rinato Parlamento padano e coordinatore delle segreterie nazionali. In pratica ha in mano le chiavi di tutto il movimento. Poi c'è Manuela Dal Lago, vicentina, la voce della Lega veneta. Nuovo tesoriere è il senatore Stefano Stefani, 73 anni, anche lui vicentino. Il suo predecessore, invece, prova a difendersi: «Non sono un delinquente, ho sempre lavorato per la Lega, per il suo bene. Sono molto dispiaciuto che Bossi abbia dato le dimissioni». «Oggi ho reso i conti della Lega a Calderoli – conclude – La contabilità è buona. Mi provino che ho rapporti con la 'ndrangheta, mi provino quali illeciti ho commesso. E, se ho fatto degli errori, per questi pagherò». È notte fonda quando si spengono le ultime luci in via Bellerio. E sulla Lega di Bossi.